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Lollobrigida, se anche l'Onu parlava di sostituzione etnica...

Francesco Lollobrigida

Gianluca Mazzini
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Fare più figli, dichiara Giorgia Meloni alla fiera di Rho. Per evitare la «sostituzione etnica», rincara il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida al congresso della Cisal. Si scatena subito una tempesta mediatica. Sostituzione etnica...? Parole mai udite da chi siede al governo che ci riportano agli anni ’30, «parla come un suprematista bianco», commenta la neo segretaria del Pd Elly Schlein. Romano Prodi inorridito parla di livelli «brutali». Il Movimento 5 Stelle di Conte parla senza giri di parole di «razzismo». Tutte le opposizioni, più o meno gruppuscolari e crepuscolari, si gettano a testa bassa nella polemica. Non manca chi cita il sito della presidenza del Consiglio dove alla voce «Grande Sostituzione» si legge che si tratta di un «mito neonazista». Repubblica la definisce una delle teorie cospirazioniste negli ultimi dieci anni diventata una bandiera sventolata nei comizi dei politici dell’estrema destra mondiale.

 

 


Insomma, un concetto caro anche alla destra tricolore, in linea con «la sua storia più arcaica» che i Fratelli d’Italia faticano a sbianchettare. Ma è proprio così? Lo abbiamo chiesto a Gianfranco Peroncini, giornalista e saggista da qualche settimana in libreria con una biografia “eretica” di Amintore Fanfani, intitolata Il pane quotidiano e che in autunno prevede l’uscita del suo ultimo libro dal ghiotto titolo Sinistra sul caviale del tramonto. La sua risposta è senza ambiguità. A suo avviso, i critici della «sostituzione etnica» come un mito neonazista hanno tutti perso un’ottima occasione per stare zitti. Perché?


I RIFERIMENTI
La riposta è spiazzante. «Il tema della sostituzione etnica, in realtà, è uno dei cavalli di battaglia dell’Onu. Che difficilmente potrebbe essere accusata di neonazismo. Basta andare a vedere i rapporti sul Replacement migration, le migrazioni sostitutive, che le Nazioni Unite propongono come unica soluzione per risolvere il declino inevitabile di otto delle nazioni più sviluppate ma a bassa fecondità del pianeta: Germania, Stati Uniti, Federazione russa, Francia, Italia, Giappone, Repubblica di Corea e Gran Bretagna». Nel documento United Nations, Meetings Coverage and Press Releases, New report on replacement migration issued by un population division del 17 marzo 2000 (http://www.un.org/pre ss/en/2000/20000317.de v2234.doc.html), si definisce infatti il concetto di «Replacement migration» come «il flusso migratorio internazionale necessario a una nazione per evitare il declino demografico e l’invecchiamento della popolazione causati dalla bassa fertilità e dai tassi di mortalità».

 

 


VERSO IL DECLINO
Ne consegue, alla luce delle analisi prodotte alle Nazioni Unite, che nei prossimi cinquant’anni nella maggior parte dei Paesi sviluppati – in assenza di migrazioni sostitutive – il declino demografico si rivela inevitabile («Population decline is inevitable in the absence of replacement migration»). Il concetto può essere discutibile, può piacere o non piacere. Resta il fatto evidente e incontrovertibile che il tema delle migrazioni sostitutive non è un «mito neonazista». Bensì una teoria difesa, proposta e sviluppata anche dalle Nazioni Unite. Con buona pace della Schlein, di Prodi, delle opposizioni e del sito della Presidenza del consiglio. «Della demografia, molti ne parlano, ma pochi la conoscono», conclude Peroncini. «E pensare che anche il crollo militare della Francia nel giugno del 1940 in sole sei settimane è inscritto e ha origine nei dati di una demografia senza sconti ancorata nella piramide delle età...». Per cui fare più figli ed evitare la «sostituzione etnica» appare una ricetta molto sensata e assai concreta. Nonostante le spericolate fake news propalate quotidianamente a getto continuo dalla stampa mainstream e riprese pedissequamente dall’universo mediatico. 

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