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25 Aprile, la festa dei pacifisti per finta: ecco chi sta coi decapitatori

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Iuri Maria Prado
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Si dividono in due schiatte diverse, i pacifisti. Una, minoritaria e sperduta, è fatta di quelli che ripudiano le armi e la guerra, qualsiasi guerra e tutte le armi, ma riconoscono che le guerre cominciano perché qualcuno le comincia e che esse non sono tutte uguali: le ripudiano bensì tutte, ma senza credere e far credere che prendere le armi per sterminare e depredare sia come prenderle per schiacciare la testa al genocida. Poi c’è l’altra stirpe di pacifisti, quella maggioritaria, che nel ripudiare la guerra rinnega piuttosto le verità di cui essa è fatta: è il pacifismo che ciancia di pace mentre hanno corso i crimini di guerra, il massacro dei civili, le torture, gli stupri di massa, le decapitazioni, la deportazione dei bambini, e rinuncia a denunciare lo scempio perché la guerra è terribile sempre e perché le guerre, appunto, sono tutte uguali.

È il pacifismo negazionista e collaborazionista che ha reso illustre il nostro Paese in faccia al mondo nell’ultimo anno, quello “Né con Putin né con la Nato” (e nel frattempo contro la resistenza ucraina). Il pacifismo che davanti alle linee di cadaveri con le mani legate dietro alla schiena si fa investigatore della possibile messinscena, e davanti alle conferme si fa latitante.

 

Il pacifismo che indugia sulle improbabilità democratiche di Zelensky, perché i diritti civili sono importanti, ma tace sui proclami delle belve che istigano la soldataglia a «bruciare i bambini ucraini». Perché questi - che vuoi farci? - sono i drammi di tutte le guerre, e anzi siamo noi a produrre simili mostruosità fornendo armi ai genitori di quei bimbi: quelli che bisogna difendere dall’irresponsabilità dei padri che non si arrendono, mica dai macellai che bombardano l’asilo e il parco giochi. È il pacifismo che affollerà le piazze del 25 aprile. 

 

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