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Meloni tira dritto: "L'ultima parola è sua", ma rassicura gli alleati

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Antonio Rapisarda
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Conti dello Stato in ordine, in continuità con la legge di Bilancio, «ambizione responsabile», come certificato dal titolare del Mef Giancarlo Giorgetti, e sviluppo come stella polare. Il primo Def del governo Meloni, approvato ieri dal Cdm, poggia su tre aspetti che qualificano non solo il momento ma l’approccio di legislatura che si è dato l’esecutivo. A spiegarlo, tirando le somme, è stata Giorgia Meloni stessa in chiusura di giornata: «Il governo oggi ha tracciato la politica economica per i prossimi anni: una linea fatta di stabilità, credibilità e crescita». Due le «carte» estrapolate dalla premier nel Def con le quali «l’Italia» si presenterà «in Europa»: «Rivediamo al rialzo con responsabilità le stime del Pile proseguiamo il percorso di riduzione del debito pubblico». Anche il terzo punto, lo stato di emergenza sull’immigrazione è da leggere come un messaggio indirizzato – indirettamente – a Bruxelles. Se da un lato, infatti, si tratta di una necessità «per dare risposte più efficaci e tempestive alla gestione dei flussi» (il precedente è datato governo Berlusconi del 2011, quando si attuò per 60mila sbarchi in un anno. Oggi siamo a 30mila in meno di quattro mesi) da Palazzo Chigi fanno notare che non si abbassa di certo la soglia di attenzione sugli appuntamenti e le risposte attese da qui a giugno in sede europea.

QUADRO ECONOMICO
Sullo sfondo poi, davanti ai numeri dell’Istat che hanno certificato il livello di natalità al minimo storico, un impegno preciso di Meloni in vista della prossima manovra: «Bisogna porsi con concretezza il problema del calo demografico e delle nuove nascite, con misure adeguate», che vadano a integrare il quoziente familiare. Le preoccupazioni per il premier non finiscono qui. Ed è lo stesso quadro economico-finanziario e geopolitico a determinare l’approccio del vertice dell’esecutivo sul delicato capitolo delle nomine pubbliche. A partire da Eni e Leonardo, volani sui dossier strategici di energia e difesa.

 

 

È proprio questo scenario di incertezza internazionale, riflettono con Libero ambienti di Palazzo Chigi, a giustificare il fatto che sia il premier ad avere l’ultima parola: «Non si tratta di due partecipate qualunque ma dell’indirizzo su due fattori fondamentali in questo tornante storico». E sedi nomine degli Ad non se ne sarebbe parlato ieri in Cdm, è chiaro che la partita resta delicata per tutti i partiti della maggioranza. A testimoniarlo, in mattinata, l’uscita del capogruppo leghista a Montecitorio Riccardo Molinari per il quale «sarebbe bizzarro che fosse un solo partito ad indicare i nomi a discapito degli altri». Segnale preciso a Fdi. Su questo, assicurano diverse fonti, si procederà nelle prossime ore sul nodo delle presidenze, su cui – qui sì – ci potrebbe essere un riequilibrio.

LE ALTRE PARTITE
Se la partita delle partecipate è centrale, c’è chi invita però a guardare anche alle altre partite importanti. La Lega, ad esempio, proprio in questi giorni può mettere sul piatto due questioni centrali: il decreto Ponte sullo Stretto e, proprio ieri, la prima riunione della cabina di regia di Roberto Calderoli sui Lep. Stazione strutturale per l’autonomia differenziata. Anche questo farebbe parte di quell’equilibrio politico generale che Giorgia Meloni sta cercando di attuare sul fronte interno. Dispositivo più che necessario per affrontare al meglio, con unità, un fronte esterno che da qui alle Europee 2024 non finirà di riservare sorprese.

 

 

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