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Bortoloso, i dem celebrano il partigiano che uccise donne e civili

Marco Cimmino
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Se c’è una cosa che ti insegna il mestiere dello storico è che la storia è una somma di memorie, spesso difficilmente conciliabili, ma che meritano tutte attenzione e rispetto: si deve entrare *Docente di storia e storico militare segue dalla prima (...) in questo caleidoscopio in punta di piedi e sempre cercando di tenerne fuori le proprie idiosincrasie, le simpatie, le ragioni meno nobili. Certamente, esistono, nel nostro lavoro, autentici mercenari: pennivendoli che scrivono a comando, per nascondere, camuffare o tagliare brandelli di queste memorie. Tuttavia, mi sento di dire che la maggioranza degli studiosi lavori con serietà e, spesso, con un guiderdone da fame.

Ciò detto, però, un’operazione tra le più difficili è cercare di raccontare una storia, in qualche modo, paritetica: descrivere, insomma, fenomeni e accadimenti, misurandoli con giudizio equanime, pesandone i fattori con la medesima bilancia. Non mi pare che ciò sia avvenuto, in occasione del centesimo compleanno del signor Bortoloso, festeggiato in pompa magna dal Pd di Schio e per il quale la capogruppo del Pd in consiglio comunale ha speso parole importanti: un’idea fra tutte, quella di portare avanti i suoi ideali.

 

 

 

RABBIA BELLUINA

Dovete sapere che il suddetto Bortoloso, insieme ai suoi compagni di lotta, assassinò, nel luglio 1945, 54 uomini e donne, detenuti nelle carceri di Schio: la guerra era finita, ma la rabbia belluina di Bortoloso e dei suoi soci non poteva permettere che questi prigionieri la scampassero. Così, li ammazzarono, brutalmente, come si fa con i cani rabbiosi, contro ogni legge umana e divina. Per questo crimine terrificante, il Bortoloso, che come nome di battaglia aveva scelto, significativamente, “Teppa”, venne condannato a morte da un tribunale repubblicano e poi graziato, in virtù della solita amnistia.
Si sarà pentito, ricreduto, avrà espiato: non è dato sapere e non sta a me giudicare. Il punto non è il “Teppa”, che, tra non molto, dovrà affrontare ben altri giudici: il punto è il Pd, la sua capogruppo a Schio e, più in generale, il modo che ha questa gente di trattare la storia. Dirò di più: di considerare la giustizia, umana oltre che quella storica. Perché gli insopportabili arcicensori democratici, sempre col ditino alzato a fare la morale a chiunque e per qualunque motivo, attentissimi a qualsivoglia violazione del loro codice comportamentale in materia di genere, colore, religione e ideologia, soffrono di uno strabismo storico sconcertante. Almeno quanto l’arroganza con cui nemmeno accettano una franca discussione su certi argomenti.

Proviamo ad immaginare che un qualunque esponente politico, estraneo alla loro inattaccabile consorteria, avesse festeggiato, con tanto di foto ricordo ed emozione di rito, un nazista personalmente protagonista di qualche orrendo eccidio, Sant’Anna di Stazzema, Marzabotto; e che, per soprammercato, avesse proclamato la sua volontà di perpetuarne gli ideali: riuscite a immaginare l’esplosione nucleare che questo avrebbe causato nel mondo politico italiano? Le geremiadi, gli anatemi, le richieste di dimissioni, di scuse, di marginalizzazione del reprobo?

 

 

 

VENERATE L’ASSASSINO

Ebbene, quello che hanno fatto gli esponenti Pd veneti è, epistemologicamente, la medesima cosa, alla lettera: hanno omaggiato e trattato con commossa venerazione un assassino della peggior specie, assimilabile, appunto, alle belve naziste. Con l’aggravante di avere agito a guerra finita da mesi. Lodevole pare l’intenzione di «non inchiodare una persona ad un singolo episodio della sua vita», ma lo storico, in punta di penna, non può non rammentare agli smemorati che anche Piazza Fontana è stato, per qualche criminale, un singolo episodio: cosa vogliamo fare? Si volta pagina e portate spumante e pasticcini? Ora, naturalmente, il centro destra chiede dissociazioni e chiarimenti: fa, cioè, a sua volta, un po’ il centrosinistra. Ma il problema è più ampio e meriterebbe una seria riflessione: non qualche boutade sui giornali o qualche intemerata televisiva. Io credo che sia tempo di operare una giustizia storica su alcuni lembi della nostra memoria, che ancora ci dividono, perché mai sono stati davvero raccontati: credo che lo dobbiamo alle vittime, ma anche ai nostri giovani, disorientati o, peggio, orientati male, da questo braccio di ferro insensato. Si dimentichi “Teppa” e tutte le teppe di ogni colore e credo, che hanno afflitto il nostro Paese nei momenti bui: ma si ricordino, sempre, le loro azioni. E non ci si sogni di chiamare la bestialità “ideale”, pena rinunciare all’umanità. Non è solo il sonno della ragione a generare mostri. 

 

 

 

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