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Ignazio La Russa: "Adozioni gay? Forse. Via la Bossi-Fini"

Ignazio La Russa

Pietro Senaldi
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«È come al solito una questione di confondere il giudizio storico e ideologico da quello giuridico». Ignazio La Russa non si definisce «sorpreso» dalla decisione della Corte di Cassazione francese di non accogliere la richiesta italiana di estradizione di dieci terroristi assassini degli anni di piombo perché, «Parigi ci ha abituato a essere il luogo di raccolta e mantenimento in libertà dei nostri criminali politici di estrema sinistra». Quello che al presidente del Senato non va giù sono le motivazioni. «Come si fa a dire che non ce li danno perché tengono famiglia» sbotta, «sembra di essere nella commedia napoletana. E poi come si può sostenere che non abbiano avuto un giusto processo in quanto latitanti? L’Italia è da sempre ben più garantista della Francia. Hanno avuto un giusto processo, non si sono neppure pentiti e la Francia dovrebbe consegnarceli, è anche una questione di rispetto istituzionale».

Se la giustizia francese non si fida di quella italiana, che futuro può avere l’Europa?
«Se è per questo non sarebbe il solo esempio in tal senso. Di certo questo giudizio ideologico più che giuridico dei francesi su persone che hanno commesso reati gravissimi è una cosa che andrebbe esaminata e possibilmente superata».

Parte della sinistra non ha criticato la Francia, o comunque ha espresso condanne di circostanza...
«Questo proprio perché si confonde l’ideologia con il diritto. Io non pretendo che la sinistra di oggi si dissoci dal suo passato. A me sarebbe sufficiente che si accettasse il principio che le persone si giudichino per quello che dicono e per quello che fanno. Non per il giudizio che hanno sulla storia. Se uno di sinistra pensasse che in quel momento, Stalin con tutti i suoi crimini, fosse stato il male minore perla Russia io dico: Va bene, se è una valutazione storica... Diverso però è esultare oggi se i terroristi sfuggono al giudizio. Paradossale poi è che chilo fa, chieda alla destra quotidiane dissociazioni a ogni minima circostanza. Dissociazioni ne sono già state fatte a sufficienza».

 



 

Allude anche alle critiche al presidente del Consiglio in occasione della commemorazione delle Fosse Ardeatine, quando la Meloni è stata attaccata per aver chiamato le vittime della strage «morti italiani», senza aggiungere antifascisti?
«Sì, anche. È un attacco pretestuoso. Tutti sanno che i nazisti hanno assassinato detenuti, anche politici, ebrei, antifascisti e persone rastrellate a caso, ovviamente non gente che collaborava con loro. Peraltro vorrei ricordare che l’attentato di via Rasella non è stato una delle pagine più gloriose della Resistenza partigiana: hanno ammazzato una banda musicale di altoatesini, sapendo benissimo il rischio di rappresaglia al quale esponevano i cittadini romani, antifascisti e non».

La critica al governo è un riflesso pavloviano dell’opposizione, qualunque cosa il governo faccia?
«A doversi interrogare dovrebbero essere gli elettori di sinistra. Ma davvero la sinistra come elemento principale di contestazione a un governo che ha avuto una così larga fiducia, pensa che l’elemento principale sia andare a ricercare cavilli su una frase che dice un ministro o su una foto di venti anni fa? È un modo per sfuggire all’incapacità di avere altri argomenti più seri per svolgere un ruolo, che io considero importantissimo, che è l’opposizione».

La critica sistematica e pretestuosa è indice di una mancanza di rispetto delle istituzioni?
«Ma più che questo a scandalizzarmi è cosa la critica sistematica sottende».

Ovvero?
«Gli avversari sono attaccati non sulla base dei concetti espressi ma semplicemente perché non usano le frasi che sarebbero gradite all’opposizione».

Il 25 aprile c’è la ricorrenza nazionale per la Liberazione dal nazifascismo, come festeggerà?
«Glielo dico il 22. Qualunque cosa dicessi ora, proprio per il discorso che abbiamo appena fatto, aprirebbe una discussione di un mese. Comunque io non mi sono mai sottratto alle celebrazioni istituzionali del 25 aprile. Quando ero ministro della Difesa andai a rendere omaggio al Cimitero Maggiore di Milano portando dei fiori sulle tombe dei partigiani.
Di tutti, anche di quelli rossi, che come è noto non volevano un’Italia libera e democratica perché avevano il mito della Russia comunista. Ma io comunque li ho omaggiati perché sono morti per un’idea e pertanto meritano rispetto».
 

Le ricordo che lei ha promesso di essere il presidente di tutti...
«E lo sto facendo. Penso che tutti mi riconoscano che svolgo il mio ruolo garantendo a tutti gli stessi diritti previsti dalle leggie dai regolamenti parlamentari. Però questo non significa che io debba avere le idee di tutti, altrimenti non avrei idee mie».

Avrebbe mai detto che sarebbe arrivato alla seconda carica istituzionale?
«È un ruolo inaspettato. Pensavo che ci sarebbero volute un altro paio di generazioni perché non io, ma un uomo della Fiamma diventasse presidente del Senato. Però ho sempre pensato che prima o poi avremmo vinto e presiedere il Senato come rappresentante del partito di maggioranza mi porta a un maggiore senso di responsabilità. Probabilmente sarei più di parte se ricoprissi questo ruolo come iscritto a un partito più piccolo».

Andiamo alla quotidianità politica, sempre mantenendo il suo punto di vista dall’alto, imparziale...
«Dall’alto in genere mi giudicano».

Quanto la allarma il dossier immigrazione?
«Bisogna essere onesti: la situazione è profondamente cambiata rispetto alla campagna elettorale. Il flusso migratorio non è più quello ordinario, che andava regolamentato, sottratto alla gestione degli scafisti e separato dall’attività ideologica e dalla speculazione politica operata dalle Ong. Oggi l’immigrazione illegale è un’arma puntata contro l’Europa. Il governo ha sensibilizzato la Ue e confido nel suo apporto».

Non è che l’Europa non si fida di noi perché siamo il solo Paese al mondo che ha mezzo Parlamento favorevole all’immigrazione clandestina?
«Questa ambiguità ahimé parte con la legge Bossi-Fini, che infatti andrebbe cambiata al più presto. Quanto al resto, l’Italia paga il fatto di aver avuto per decenni il partito comunista più grande d’Europa e che ci ha lasciato in eredità il concetto internazionalista di ritenere le frontiere una cosa obsoleta. A peggiorare il quadro si è aggiunta la cultura radical-chic, che instilla il concetto per il quale tutti hanno diritto di andare e radicarsi dove vogliono a prescindere dalle intenzioni della nazione ospitante. Ovviamente il risultato è stato una radicalizzazione dello scontro sull’immigrazione, al cui problema dovremmo dare la risposta che dà tutto il mondo: noi non possiamo accogliere chiunque ci venga portato dagli scafisti ma solo le persone che possiamo ospitare dignitosamente e di cui abbiamo bisogno e trattarle alla pari degli italiani al cento per cento. Gli altri, fuori».

Non siamo danneggiati dall’ambiguità di mezzo Parlamento nei confronti della lotta alla clandestinità?
«È necessaria una svolta culturale, una maturazione politica che per la sinistra è difficile».

Un po’ come con l’utero in affitto, prima si forza la legge, poi si legalizza l’illegale?
«La lotta alla maternità surrogata non è cosa di destra. La fanno anche le femministe, amici gay, tutti contro questo obbrobrio che sa tanto di razzismo, come avete dimostrato voi di Libero con la copertina sui colori della pelle dei figli in vendita come le tonalità di parquet».

 



 

Quindi, da presidente di tutti, cosa si sente di dire alle coppie gay che desiderano un figlio?
«Capisco molto il desiderio di una coppia formata da due persone dello stesso sesso di avere un figlio. Se due persone si vogliono bene e vogliono un figlio come fai a non comprendere questo sentimento? Ma quando dicono che per il bambino non cambia nulla si confonde il loro desiderio con quello del figlio. Dicono: meglio un figlio con loro o meglio con un padre che picchia la madre? E certo, meglio con loro però cerchiamo anche di non far picchiare la madre dal padre. Quando si tratta di decidere che una coppia dello stesso sesso possa avere un figlio sono combattuto dal desiderio di riconoscere la bontà del desiderio, dal convincimento che però non è certo, che lasciare che questo possa avvenire sia un vantaggio per il bambino. Non dico che sia uno svantaggio per il figlio, dico che non lo so. Quello che so è che l’utero in affitto non va bene. Nelle adozioni, invece, già ora ci sono tanti step. Ci sono delle graduatorie. Io dico meglio le coppie di genitori di sesso diverso, poi può starci anche valutare per le coppie gay.
L’importante è che non sia un continuo step su step: oggi chiedo questo per poter ottenere questo, domani chiedo quest’altro per ottenere ancora di più. Però, piuttosto che all’orfanotrofio io un bambino ad una coppia gay non ho difficoltà ad immaginarlo, ma vorrei che già oggi che è riservata alle coppie etero, l’adozione fosse meno complicata e riuscisse a dare una casa e una famiglia possibilmente a tutti i bambini. Sicuramente meglio a loro che senza genitori. La cosa sbagliata però è dire che per il bambino è la stessa cosa avere due papà o due mamme rispetto all’avere un papà e una mamma. Non è la stessa cosa, poi magari può stare bene comunque».

I difensori dell’utero in affitto sostengono che il mancato riconoscimento automatico del genitore non biologico priva i bambini di un diritto?
«Ma questo non è vero, e poi c’è la procedura dell’adozione agevolata. La battaglia sa di crociata ideologica per aprire anche in Italia alla legalizzazione dell’utero in affitto. Non dimentichiamo che siamo in un Paese fortemente ideologizzato, anche quando si parla di bambini».

Ma lei che la conosce bene...
«Giorgia...?».

Sì, quanto è cambiata da quando è diventata premier?
«Non è cambiata di una virgola. Solo le si sono intensificate le giornate. Prima riusciva a fare un po’ di ginnastica al mattino, visto che è una sportiva, e riusciva a ritagliarsi qualche spazio ogni tanto. Adesso invece non ha un attimo di tregua. Non fa vacanze da cinque anni. Nel 2019 era partita con la famiglia per gli Stati Uniti ma Salvini ha fatto cadere il governo ed è dovuta rientrare dopo solo due giorni».

Non è un limite non essere cambiata dopo essere diventata presidente del Consiglio?
«No, perché lei era strutturata da sempre per il ruolo. Quello che mi ha stupito è che non ha mollato un centimetro neppure sullo studio dei singoli dossier». 

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