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Da Veltroni a Moretti: la sinistra ha più film che voti alle elezioni

Salvatore Dama
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Torneranno «i film cecoslovacchi con sottotitoli in tedesco» (cit.). Nel frattempo il potente megadirettore Guido Maria Riccardelli avrebbe ampia scelta di titoli da proporre per i suoi cineforum aziendali del mercoledì sera. E senza riesumare Sergej Michajlovi Jzenstejn. “Il secondo tragico Veltroni”. Per cominciare. Intesa come la sua nuova vita da cineasta, seguita alla prima, da politico e sindaco. Walter sforna film come pizze. L’ultimo si intitola Quando. Ma ne parliamo più avanti. Quasi in contemporanea, ecco Arrivederci, Berlinguer, film documentario che rimaneggia una pellicola del 1984. E poi, certo, c’è il nuovo film di Nanni Moretti. Titolo inequivocabile, più o meno: Il sol dell’avvenire. Quanta abbondanza. Che non necessariamente è sintomo di salute. Potrebbe, semmai, essere la spia di un malessere. Perché, se vai a vedere, ogni titolo ha una carica, potente, di nostalgia. Il “si stava meglio quando si stava meglio” della sinistra. La golden age. Gli anni Ottanta. Il Partito comunista italiano. Enrico Berlinguer. I compagni che si sbloccano un ricordo. L’ammissione (implicita) di non essere riusciti, nei quarant’anni a seguire, ad avere una leadership che oggi valga la pena celebrare. Perché nessuno fa un film su D’Alema e su Prodi? Eh già, perché...

 

 


UNA TENDENZA
Però tre titoli in un mese delineano una tendenza. C’è vita. Almeno nella gauche culturale. Mentre quella politica è asfittica. Dice: è il metodo gramsciano. Egemonizzare il pensiero per poi prendere il potere. Sì, ma quando, ma dove: oramai il cinema militante è una nicchia della nicchia. E Gramsci oggi probabilmente si farebbe un profilo su Tiktok. Per arrivare alle masse. Invece di coscrivere i poveri compagni alle feste dell’Unità, obbligandoli a vedere le proiezioni. In ginocchio sui ceci. Ma questa invasione delle sale è forse una reazione alla vittoria “delle destre”? Boh. Nel senso: sei mesi non bastano per realizzare un film, dall’idea alla proiezione. Semmai allora è più un fatto interno alla sinistra. Alla crisi di cui si parlava sopra. Tipo: mi fa schifo il presente, mi rifugio nel passato. Eleggendolo a comfort zone. Mitizzandolo. Curiosa infezione di “tradizionalismo” tra i cosiddetti progressisti.

 

 


E ora facciamo un esperimento. Prendiamo il ragionier Fantozzi e mandiamolo al multiplex. Vediamo quale delle tre pellicole si merita il premio “ca**ta pazzesca”. Sala Uno. Quando, regia di Walter Veltroni. Chi l’ha visto in anteprima è rimasto un po’ così. Non foss’altro perché il plot ricalca quello di un filmone di successo: Goodbye Lenin di Bernd Lichtenberg. E questo ha alzato verticalmente le aspettative. Trama dell’originale: donna fervente comunista infarta e si perde la caduta del Muro di Berlino. Quando si risveglia dal coma i figli ricostruiscono intorno a lei la Ddr, per evitare che la delusione causata dalla fine della dittatura di Honecker le provochi un nuovo coccolone. Trama veltroniana: un tizio (Neri Marcorè) prende una bandierata in testa al funerale di Berlinguer. Va in coma e si risveglia dopo 31 anni (nel 2014). Piano piano deve fare i conti con la nuova realtà. Con le corna della fidanzata, col fatto che non ci sia più il Partito comunista e che, nel Pd, ora comandi Matteo Renzi.


NIENTE OSCAR
Bene: anche quest’anno, Veltroni, l’Oscar lo vince l’anno prossimo. Comunque il regista nega che la cifra del suo film sia la nostalgia: «No, solo nella sfera personale». Il Pci «era un posto dove si stava bene, ci si sentiva tutti dalla stessa parte, si discuteva, ma nel film spero di trasmettere un senso di speranza». Sala Due. Per la serie «no, non sto piangendo, mi è solo entrata una falce-e-martello nell’occhio», ecco Arrivederci, Berlinguer. Un film documentario di Michele Mellara e Alessandro Rossi, che sarà proiettato domenica in anteprima per il Pordenone Docs Fest, nel corso di una performance cine-musicale. Così: ci sarà una band a suonare e la proiezione delle immagini delle esequie dell’ex segretario Pci sul videowall. Tutta vita, insomma: «Raccontiamo la figura di Berlinguer a partire dalla grande partecipazione popolare al suo funerale», spiegano i registi, «nel nuovo assemblaggio abbiamo inserito alcuni suoi interventi che riguardano i temi che ci sembravano più vicini all’oggi». Sala Tre. Il sol dell’avvenire di Nanni Moretti. Già il titolo è puro novecento ingiallito. Il “sol”, cioè il socialismo che illumina “l’Avvenire” della classe operaia. Beh. Si sa poco del film, gira solo un trailer. Dal quale si capisce che il nemico del popolo, stavolta, è Netflix... 

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