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L'Emilia rischia il crac per i buchi fatti con Elly Schlein

 Elly Schlein

Andrea Morigi
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Più dei 400 milioni di rosso, la prova del fallimento della sanità emiliano romagnola è la fuga dei pazienti verso il Veneto e la Lombardia. Naturale, visto che le prestazioni in lista d’attesa nel 2021 avevano raggiunto la quota record di 1.175.816. A Bologna, la giunta si vanta di avere un piano per abbatterle, che in realtà consiste nello scaricare sulle Regioni vicine i costi del servizio ai propri assistiti. Poi occorrerà pagare per visite, ricoveri, interventi e terapie svolti oltre i confini. L’unica priorità sembra tagliare i costi. Anzi, si chiudono addirittura i pronto soccorso, come si prevede di fare a Cento, nel Ferrarese, mentre si aboliscono 14 posti letto in terapia intensiva al Sant’Orsola di Bologna e viene ridotto il numero anche all’Ospedale Maggiore. Il tutto per giustificare la mancanza di 5mila operatori nel comparto e di migliaia di medici.

SPRECHI
Intanto si prende tempo per non dover ammettere che il Piano sociale e sanitario regionale, illustrato nel gennaio del 2022 dall’allora vicepresidente con delega al Welfare, Elly Schlein, e dall’assessore alle Politiche per la salute, Raffaele Donini, è stato un buco nell’acqua. Anzi, un buco di bilancio tale che ora si paventa addirittura un commissaria mento del servizio pubblico. La capogruppo di Fratelli d’Italia in Regione, Marta Evangelisti, ritiene che «la sola via di uscita possibile, e ci auguriamo non tardiva, sarebbe quella di un commmissariamento dell’assessorato». È dallo scorso novembre che, insieme ai consiglieri Giancarlo Tagliaferri e Luca Cuoghi chiede «quali sono tempi e modi per mettere completamente in atto la riorganizzazione sanitaria ma soprattutto quali meccanismi sono stati previsti per il monitoraggio sull’efficienza del nuovo modello proposto».

«Entro il 30 aprile», osserva il deputato di Fdi Mauro Malaguti in un’interrogazione al ministro della Salute, Orazio Schillaci, «deve essere trasmesso al ministero dell’Economia e delle finanze il bilancio consuntivo della Regione, che dovrebbe illuminare anche sulla reale situazione di deficit del comparto sanità, dove normalmente è impiegato circa l’80% del bilancio regionale». Sarebbe l’occasione buona «per svelare eventuali sprechi» nascosti «nelle voci di spesa delle singole direzioni sanitarie». Non si dovrebbe far troppa fatica a farli emergere, visto che «periodicamente si apprende di altre assunzioni di nuovi dirigenti con stipendi molto elevati». Come nel caso di Nicola Magrini, ex direttore dell’Agenzia del Farmaco, al quale l’Ausl Romagna ha affidato un incarico quinquennale per 700mila euro.

Per l’amministrazione guidata da Stefano Bonaccini la strada è semplice: reclamare l’aiuto dello Stato per ripianare i conti ed evitare i tagli. In quel caso sarebbe una macchia indelebile anche sull’operato dell’attuale segretaria del Partito Democratico. Si sancirebbe infatti che, sotto la sua amministrazione, si affonda nei debiti. Se i risultati sono questi, meglio allora non affidarle nulla da gestire, nemmeno una portineria di un condominio.

SCANDALI
Lo ammetteranno mai i compagni, secondo i quali la sanità emiliano romagnola è un «fiore all’occhiello»? Neanche per sogno. Semmai rilanciano con una riedizione del soccorso rosso: un appello a Schillaci per iniziativa dall'ex governatore Vasco Errani che ha già raccolto oltre 42 mila firme su Change.org. Ha il coraggio di metterci la firma pure la Schlein, che dichiara senza vergogna: «Ci mobiliteremo in ogni modo contro ogni taglio o privatizzazione. Siamo di fronte a un pericolo incombente, il superamento di una sanità universalistica e l'avvio di fatto di una sanità selettiva che aggraverà le diseguaglianze tra chi può pagare e chi no». Macché, accusa il sindacato Fials- Federazione Italiana Autonomie Locali e Sanità, la causa sono gli scandali a ripetizione. A partire dall’appalto di 400mila euro relativo ad Accreditation Canada sul quale è intervenuta l’Autorità nazionale anticorruzione perché l’affidamento, per un importo al disopra della soglia di rilevanza comunitaria, in forma diretta e senza alcun previo confronto concorrenziale, non rispettava il Codice. Ma il caso peggiore riguarda il mega appalto da 123 milioni di euro per la gestione dei servizi alla persona, vale a dire il trasporto e l’assistenza degenti, i servizi di pulizia, lavanderia e tutto quel che ci gira attorno, annullato nell’agosto 2020 dal Consiglio di Stato perché assegnato da un dirigente del Sant’Orsola alla Coopservice, colosso del mondo cooperativo legato a Legacoop, della quale era presidente il cognato e della quale era stato lui stesso dipendente.

Non sembrano lontani gli anni ’70 del secolo scorso, quando «l’Emilia Romagna era “cosa loro” e, nella provincia di Ferrara», ricostruisce l’on. Malaguti, «nascevano vecchi e costruiti male gi ospedali di Cona e del Delta, che ora hanno costi di gestione faraonici, invece di ristrutturare i vecchi Sant’Anna e San Camillo». Come conseguenza di tale trasparenza, serietà e rigore nei conti pubblici, sono state bloccatele graduatorie concorsuali, non sono state pagate le indennità ai lavoratori del SSR e le assunzioni di personale stentano ad arrivare. A questo si aggiungono carichi di lavoro eccessivi e straordinari non pagati, al netto delle difficoltà per i professionisti di fruire di ferie e permessi. Per questo «un mese fa abbiamo chiesto il commissariamento», ricorda a Libero Alfredo Sepe, segretario della Fials Emilia Romagna, che annuncia una manifestazione sotto le Due Torri per il 15 aprile, in difesa della sanità pubblica e dei diritti di lavoratori e cittadini. 

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