Cerca
Cerca
+

Elly Schlein, il retroscena: perché non si è presentata in aula

Brunella Bolloli
  • a
  • a
  • a

Mentre Elly Schlein si prende la piazza, Giuseppe Conte ci prova in Aula, ma finora la strategia dei due capi della minoranza - ammesso che sia una strategia concordata tra Pd e M5S e non il frutto di una casualità- comunica più l’idea di una opposizione senza bussola che altro. La segretaria dem preferisce sfilare contro il presunto allarme fascismo a Firenze, per i morti di Cutro contro il governo e a favore delle famiglie arcobaleno a Milano: in Parlamento, question time a parte, non si è ancora sentita. E, guarda caso, proprio ieri giorno in cui si doveva discutere di armi all’Ucraina, tema su cui i dem sono in forte imbarazzo, la nuova inquilina del Nazareno ha preferito non esserci lasciando campo libero all’avvocato del popolo.

Schlein è volata a Bruxelles per un confronto con i leader socialisti europei fuggendo sia dal dibattito con il governo italiano sull’aggressione russa, sia dalle tensioni della sua truppa parlamentare dove incombe la grana del cambio dei capigruppo: lei insiste infatti per Francesco Boccia al Senato e Chiara Braga alla Camera, i lettiani mugugnano e l’area Bonaccini rivendica almeno uno di quei posti. Ecco perché Elly ha deciso di partire e rimandare il discorso. A Montecitorio, dunque, Conte si è preso la scena. E lo ha fatto già dall’ingresso spavaldo in Transatlantico, dove ha limato gli ultimi punti del suo intervento senza sottrarsi alle domande dei cronisti che gli chiedevano se l’opposizione intende procedere unita o no sull’Ucraina. «Noi abbiamo posizioni chiare, non improvvisate, che portiamo avanti da tempo in modo lineare. Se poi non c’è convergenza su questi nostri punti, evidentemente c’è ancora da lavorare», è stata la risposta.

L’ex premier, dopo la passerella di martedì con gli esodati del Superbonus, si è quindi preparato un discorsetto ad hoc un po’ per far vedere che esiste anche lui e un po’ perché in Senato, la presidente del Consiglio era stata netta («piuttosto che fare come Conte in Europa, lascio prima»). Così, ieri, in giacca e pochette ma con l’abito pacifista, Giuseppi ha sviscerato il repertorio anti-aiuti all’Ucraina parlando di «inadeguatezza» del governo sul conflitto. «Poco più di un anno fa», ha esordito, «il Parlamento votò un decreto e una risoluzione in cui l’Italia si impegnava a mandare armi per difendere Kiev, ma anche a mettere in campo subito azioni mirate ad una de-escalation militare e ad una soluzione diplomatica che portasse alla pace. Dopo 12 mesi tutti quegli impegni sono stati traditi, prima dal governo Draghi, e ora dal suo di governo, che del governo Draghi è solo una brutta copia». L’accusa M5S è che Meloni in politica estera agisca in continuità rispetto al suo predecessore con il quale i grillini hanno condiviso un pezzo di strada, salvo poi iniziare a cannoneggiarlo proprio in merito al sostegno a Kiev.

SCENARI FUNESTI
 
In Aula Conte s’infervora. «Le armi inviate in Ucraina da difensive sono diventate sempre più offensive», dice. «Ora siamo arrivati a mandare i missili terra aria, jet da combattimento e ad addestrare soldati ucraini e ad usare sul nostro territorio le batterie missilistiche che costano ognuna 7-800 milioni. Altro che gratuitamente presidente Meloni», punge il grillino. E poi: «Il vostro è patriottismo d’accatto». Per continuare: «Già si ragiona di ammassare centinaia di militari Nato ai confini del campo di battaglia e nessuno dice nulla neanche in Europa della minaccia dei proiettili con uranio impoverito». Quindi, la “gufata”: «Ci state trascinando di gran carriera in guerra, senza contare che in quella nucleare non ci sono vincitori, ma solo sconfitti».

Da qui l’appello dell’avvocato pugliese a tutte le forze politiche a «non sostenere ulteriori forniture militari» e ad uscire dall’equivoco che questo sia il modo di arrivare alla pace». L’intervento è il più duro tra quelli delle opposizioni, che anche ieri hanno presentato risoluzioni diverse sulla questione ucraina. Non le manda a dire neppure al Pd, un tempo alleato. Però, nella foga di attaccare l’esecutivo, Giuseppi confonde Giacomo Matteotti con Giulio Andreotti, che non sono proprio la stessa persona. Sarà stata la presenza del garante M5S Beppe Grillo, la sera prima, a farlo sbandare. Chiara Colosimo, deputata Fdi, fedelissima della Meloni, ne approfitta infatti per lanciargli una stoccata: «Conte si atteggia a statista ma confonde Matteotti con Andreotti. Oggi, in aula, era un po’ come la Chiesa del suo mentore: altrove». 

Dai blog