Alberto Clò, la denuncia: "Domina l'isteria verde, non scordate la sinistra"
Ministro dell’Industria nel governo Dini; fondatore, con Romano Prodi, della rivista Energia, che dirige da quarant’anni; professore di Economia applicata a Bologna: Alberto Clò non appartiene certo alla schiera dei “sovranisti”. Fa parte, piuttosto, dei pochi che in Italia conoscono il mercato dell’energia e ne parlano senza pregiudizi ideologici. Della direttiva per aumentare l’efficienza energetica degli edifici approvata dal parlamento Ue, ad esempio, pensa malissimo. «La giudico un ennesimo atto di arroganza», dice a Libero. «In preda a un’isteria ecologista, il Parlamento europeo ha totalmente escluso ogni partecipazione democratica della popolazione alle proposte che si intendevano avanzare, nonostante ricadano pesantemente sudi essa. I consumatori ne sono venuti a sapere da un giorno all’altro: è da sperare che, al momento di essere elettori, si ricordino quali partiti, specie sinistra e verdi, hanno approvato questi provvedimenti».
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Che effetto avrà su un Paese come il nostro, dove borghi e città hanno edifici vecchi di secoli?
«Molto dipenderà dal negoziato che si aprirà tra commissione, Parlamento e Consiglio europeo, e dalle posizioni dei singoli governi. Il costo sarà comunque molto consistente per i proprietari – si è letto fino a 40mila euro per un’abitazione di 100 metri quadri – ed anche per lo Stato, che dovrebbe sostenere fiscalmente le ristrutturazioni. Ed è incredibile che queste valutazioni siano fatte dopo che le proposte sono state formulate, anziché prima, come sarebbe stato logico».
La decisione sulle case rientra nei programmi europei “Green Deal” e “Fit for 55”, con cui la Ue vuole ridurre le emissioni di Co2 di almeno il 55% entro il 2030.
«Questi piani sono stati predisposti senza avere la minima contezza della loro reale fattibilità e degli effetti che ne potrebbero derivare, e nemmeno di come le cose siano mutate con la guerra in Ucraina».
Cos’è cambiato con la guerra?
«Ha totalmente modificato l’agenda politica degli Stati, che spesso hanno anteposto le ragioni della convenienza e della sicurezza energetica a quelle, prima dominanti, della lotta ai cambiamenti climatici. Lo dimostra l’aumento generalizzato dei consumi di carbone, che per la prima volta hanno superato gli 8 miliardi di tonnellate. Alla faccia degli impegni sottoscritti alla Cop 26 di Glasgow del novembre 2021 e in quelle precedenti, dove i Paesi emergenti e quelli avanzati si erano impegnati a ridurli strutturalmente. A Parigi, nel 2015, tutti gli Stati avevano firmato un accordo per ridurre le emissioni clima alteranti, che invece da allora sono aumentate continuamente».
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Per le stesse ragioni, la Ue vuole vietare la commercializzazione delle automobili con motore endotermico dal 2035. Quali conseguenze avrebbe per l’Italia?
«Conseguenze pesantissime, anche per il ruolo delle nostre imprese, spesso di piccola dimensione, nella produzione di componenti delle auto tradizionali che sono totalmente assenti in quelle elettriche. Come ha scritto Romano Prodi sul Messaggero, “nel nostro Paese si produrrà una riduzione di oltre cinquantamila posti di lavoro e un notevole danno alla nostra bilancia commerciale”. Mentre l’America di Joe Biden sostiene l’industria nazionale con l’Inflation reduction act, che erogherà 370 miliardi di incentivi alle imprese delle energie rinnovabili all’interno del Paese (inclusi i produttori di auto elettriche), Ursula von der Leyen distrugge un asse portante dell’industria europea».
Ma l’auto elettrica comporta minori emissioni di anidride carbonica. O no?
«No, come mille studi attestano, se consideriamo il suo intero ciclo di vita: dall’estrazione dei minerali critici richiesti per la sua produzione e quella delle batterie fino alla dismissione-rottamazione-riciclo. Se, in sostanza, facciamo le cose corrette e non guardiamo solo alle emissioni allo scarico del veicolo. Doppiamente no se l’energia elettrica è prodotta con fonti fossili. Come accade in Germania, dove un’auto elettrica in più aumenta le emissioni clima alteranti».
Dietro all’adozione di simili provvedimenti vede le lobby delle aziende green?
«Assolutamente sì. Lobby che vogliono dimostrare come l’unica soluzione, la panacea di ogni male, siano le rinnovabili elettriche, ovvero solare ed eolico, che contano per appena il 6,7% sul totale dei consumi energetici mondiali, contro l’82% garantito dalle fonti fossili».
Matteo Salvini sostiene che «costringere tutto il continente a passare solo all’elettrico senza altre soluzioni significa consegnarsi mani e piedi alla Cina».
«È così. Qui non c’entra il colore politico, ma solo la conoscenza o l’ignoranza delle cose. Si sta facendo il medesimo sciagurato errore che si fece con la scelta della Russia come fornitore privilegiato di gas all’Europa, che era arrivata a dipendervi per il 40%. Si sta passando dalla padella del gas russo alle brace delle rinnovabili cinesi, lasciando alle future generazioni il compito di sottrarsi alle mire espansionistiche di Pechino».
Per le abitazioni e le automobili sono possibili soluzioni più sensate, fondate sulla persuasione e la gradualità anziché su obblighi a breve scadenza?
«Far meglio di come si è fatto sinora non è difficile. Primo: occorre contezza degli effetti delle proprie proposte e decisioni. Secondo: serve consapevolezza dei tempi necessari a conseguire gli obiettivi, sacrosanti, di riduzione delle emissioni. La gradualità è una virtù, se consente di raggiungere prima gli obiettivi. Terzo: bisogna capire quali sono i costi ed evitare di imporre oneri insostenibili alle classi meno agiate. La povertà energetica è cresciuta in modo intollerabile. Si devono evitare rivolte sociali come quelle osservate, per costi ben minori, nella Francia dei gilet gialli. Potrei scimmiottare Gino Bartali, quando diceva “l’è tutto sbagliato, l’è tutto da rifare”. Non siamo lontani».
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