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Giorgia Meloni alla Cgil? Il solito equivoco: le note stonate di "Bella Ciao"

Iuri Maria Prado
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Mica male le note di “Bella Ciao” in faccia a Giorgia Meloni: l’inno dei partigiani del 24 febbraio 2022, pugni chiusi e bandiere rosse contro la serva della Nato che manda le armi ai drogati e agli omosessuali di Kiev che non accettano di farsi denazificare. Mica male “i valori della Resistenza” messi in musica a guarentigia delle pensioni di adolescenza, del reddito da dormeuse e delle tasse bellissime pagate dall’italiano su sei che lavora per mantenere il diritto acquisito degli altri cinque di non fare una mazza.

Mica male l’antifascismo posto a tutela della retorica operaista che ha garantito agli operai i salari più magri d’Europa e una crescita della produttività a livelli subsahariani, col neoliberismo in agguato ma messo alle corde dal potere statale che possiede il 45% dell’impresa italiana. Mica male l’italiano della Repubblica Bella Ciao che una mattina si è svegliato e ha trovato l’invasor: il governo dei fascisti che spazza via l’abolizione della povertà e non scrive nel programma che i ricchi devono piangere. Mica male la canzuncella adibita a bastione della rendita da 25 Aprile, il complesso di sussidi e mance che contro il mercato, il principio di concorrenza e contro le regole di ogni economia avanzata tiene l’Italia indietro di trent’anni rispetto ai sistemi occidentali.

 

Mica male le radici della Repubblica nata dall’antifascismo affondate nel latifondo del voto di scambio presidiato graduidamende dal fortissimo punto di riferimento di tutti i progressisti. Bella Ciao: da canto della liberazione a serenata dell’imboscato. 

 

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