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Giorgia Meloni e FdI? "Chi sono davvero": il libro che zittisce la sinistra

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Fausto Carioti
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Mancava un’analisi seria, scientifica e onesta, da sinistra, su ciò che Fratelli d’Italia è. Sul cammino che il partito della presidente del consiglio ha fatto e sulle probabili prossime tappe della sua evoluzione. Ciò che era stato scritto sinora, anche da firme di un qualche peso accademico (certi editoriali di Repubblica e della Stampa sono lì a confermarlo), risente di due errori. Il primo è il pregiudizio ideologico, che riduce ogni riflessione ad unico discorso stereotipato: sono fascisti mascherati, privi di una vera cultura politica, bravi solo a eccitare i peggiori istinti degli italiani come fece Benito Mussolini. A confortare chi la pensa così, la comodissima teoria di Umberto Eco sull’Ur-Fascismo, il fascismo eterno: «È ancora intorno a noi, talvolta in abiti civili. (...) Il nostro dovere è di smascherarlo e di puntare l’indice su ognuna delle sue nuove forme». Perfetta per chi è convinto di vivere in un’eterna Resistenza.

Se la premessa è questa, inutile perdere tempo (secondo errore) ad indagare sulle idee, le diverse anime e i protagonisti di Fdi, i loro referenti internazionali, i loro programmi, le loro tesi e le loro contraddizioni: fascisti (o ur-fascisti) sono e tali resteranno. È anche grazie a questa presunzione e a questa sottovalutazione, all’incapacità dei loro avversari di capirli, che la “underdog” Meloni è arrivata a palazzo Chigi e i Fratelli d’Italia hanno raggiunto il 30% dei consensi.

IL METODO DI LAVORO
Quell’analisi seria, scientifica, onesta che mancava a sinistra, però, adesso c’è. È un libro che s’intitola Fratelli di Giorgia. Il partito della destra nazional-conservatrice, lo ha stampato Il Mulino e porta la firma di due che fanno ricerca, non propaganda: il politologo Salvatore Vassallo, che fu parlamentare del Pd nella XVI legislatura e ora insegna Politica comparata a Bologna e dirige l’Istituto Cattaneo (i benemeriti cui si devono le mappe del voto nei collegi elettorali italiani), e lo studioso Rinaldo Vignati, collaboratore del Cattaneo.

Il loro metodo di lavoro impone una fatica monumentale: analizzare tutti i testi che abbiano rilevanza politica (interventi parlamentari, discorsi da comizio, programmi elettorali, tweet...) prodotti negli anni dai dirigenti del partito e cercare le idee e le parole-chiave che li legano. Parlare con quegli stessi dirigenti per capire ciò che davvero è successo dietro le quinte, che di rado coincide con ciò che i cronisti hanno raccontato. E poi ripercorrere la storia del Movimento sociale italiano e di Alleanza nazionale, alla ricerca dei vecchi fili ancora presenti nella nuova trama (pochi) e di quelli che sono stati spezzati. Senza pregiudizi, finalmente.

Il libro merita di essere letto e ovviamente non approda a un risultato definitivo, essendo la storia di Fdi in divenire. Ma la tesi di Vassallo e Vignati, oltre ad essere ben supportata dai documenti e dalle testimonianze, è quella giusta ed è presente già nel titolo: piaccia o meno alla sinistra ed ai nostalgici della destra missina, Fdi, «il terzo partito della Fiamma», grazie soprattutto alla sua leader, è diventato «un partito nazional-conservatore, inserito a pieno titolo nel sistema democratico, capace di rappresentare un elettorato molto più ampio rispetto alla comunità degli sconfitti e ai custodi della nostalgia che avevano fondato il Msi». Un partito i cui referenti europei sono gli altri grandi partiti conservatori del continente. Quel partito di destra, insomma, che la repubblica italiana non ha mai avuto.

OSTACOLI E INCOGNITE
Al nodo dei rapporti col fascismo sono dedicate molte pagine. Ma se nel libro c’è polemica, è verso quella parte della sinistra che usa il termine «fascista» come moneta svalutata da spendere nello scontro politico. Il giudizio degli autori è netto: «La generazione di Giorgia Meloni è definibile come formata da democratici afascisti: il processo di integrazione democratico è proseguito e il fascismo ha smesso completamente di esercitare una funzione di ispirazione. È stato ormai definitivamente relegato a momento storico di un passato irripetibile, che ha poco o niente da offrire per orientare l’azione politica, che così viene percepito anche dall’elettorato a cui oggi Fdi si rivolge». E dunque, anche se «nel discorso pubblico» che Fdi fa del ventennio mussoliniano restano «ambiguità, lacune e incongruenze», l’accostamento al fascismo fatto dagli avversari politici di Fdi e dai media «è parte di quelle iperboli strumentali di cui si nutre la propaganda». 

Peraltro, come notano Vassallo e Vignati, slabbrando in questo modo il concetto di fascismo, usandolo anche per definire «il tono di un comizio, una posizione politica sgradita o un fotogramma estrapolato dal contesto», finisce che diventa “normale”, in nome di un antifascismo altrettanto dilatato, impedire ad un parlamentare di Fdi di parlare a un convegno nell’ateneo della Sapienza, appendere a testa in giù un manichino che rappresenta Giorgia Meloni e dare del «fascista» a Enrico Letta, come hanno fatto lo scorso novembre alcuni manifestanti “per la pace”, i quali pretendevano che il Pd si opponesse all’invio di armi all’Ucraina (auguri a Elly Schlein). Il cammino di Giorgia Meloni e dei suoi è tuttora in corso e la permanenza al governo, come si è visto in questi mesi, accresce il senso di responsabilità. 

«Gli estremismi verbali, le letture cospirative del mondo e le proposte di bandiera, che in passato hanno fatto spesso scavallare dal solco nazional-conservatore, tenderanno verosimilmente a diradarsi ora che la centralità nella posizione di governo offre nuove opportunità e nuove convenienze». Gli ostacoli e le incognite non mancano, ma il più importante tra quelli che individuano i due autori riguarda la classe dirigente. La presidente è spesso troppo avanti rispetto al resto del gruppo ed è anche la più veloce a studiare i dossier e capire le situazioni, e così finisce col dare l’impressione di giocare da sola. L’evoluzione che adesso serve è questa, il futuro del partito nazional-conservatore italiano passa soprattutto da qui.

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