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Fisco? Adesso tocca a giustizia e presidenzialismo: il cambio di passo

Fausto Carioti
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Dopo settimane passate a difendersi per le parole di Giovanni Donzelli e Andrea Delmastro, a rispondere alle presidi che si sentono staffette partigiane, a discutere con chi lo accusa di voler far morire Alfredo Cospito (o, al contrario, di volergli imporre un ingiusto trattamento sanitario), il governo ha avviato una di quelle operazioni per cui 12,3 milioni di italiani, il 25 settembre, hanno votato centrodestra: la riforma del fisco. La speranza è che sia il colpo d’ala che lo solleva dal pantano.

Con le leggi delega, di solito, i tempi sono lunghi. Motivo per cui il direttore dell’agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ha apprezzato che questo lavoro sia partito all’inizio della legislatura: così ci sono buone speranze di portarlo a termine prima che essa finisca. Il governo ostenta ottimismo e promette che l’Irpef con tre sole aliquote partirà già dal prossimo anno. Sarebbe bellissimo. Anche in questo caso, però, è necessario che al primo colpo d’ala ne seguano subito altri, se non si vuole ripiombare giù.

 

C’è da avviare quella «elezione diretta del presidente della repubblica» promessa nel programma elettorale con cui il centrodestra ha vinto le elezioni. Giorgia Meloni l’ha definita «una priorità di governo», anche se potrebbe trasformarsi in qualcosa di diverso: l’ elezione diretta del presidente del consiglio, sul modello del “sindaco d’Italia”, o qualche forma di “premierato forte” ancora da definire.

Tutto è ancora in alto mare, insomma. Mentre il ministro delle Riforme istituzionali, Elisabetta Casellati, d’intesa con la Meloni si sta dedicando all’altra metà della sua delega, quella che riguarda la «semplificazione normativa», ossia la delegificazione e la sburocratizzazione. Propositi lodevoli, che nel consiglio dei ministri di ieri si sono tradotti nell’abrogazione di 2.535 regi recreti risalenti al periodo 1861-1870.

È forte l’impressione, però, è che ci si stia concentrando sulla semplificazione perché si è deciso di congelare la riforma presidenziale: fosse così, sarebbe un pessimo segnale. C’è una riforma della giustizia da fare. A che è servito candidare uno del calibro di Carlo Nordio, farlo eleggere deputato e nominarlo ministro, se non per rivoluzionare l’impianto della giustizia italiana? Anche qui, la stella polare è il programma elettorale della coalizione, dove si promettono «separazione delle carriere», «riforma del Csm», «effettività del giusto processo» e altre meraviglie del genere. In ambedue i casi, è dalla riscrittura della Costituzione che bisognerà passare. 

 

Significa che i tempi saranno lunghi: più di quelli necessari a portare a termine la riforma del fisco. Occorre partire, quindi. Rinunciare a darsi simili orizzonti significherebbe arrendersi alla “tirannia dello status quo”. Magari per amore di quieto vivere, soprattutto ora che si è capito che dal Pd formato Schlein non potrà arrivare alcunacollaborazione. Se il calcolo è questo, è sbagliato. Sarebbe un quieto morire, un rassegnarsi a combattere le polemiche quotidiane che l’opposizione è bravissima ad amplificare, quando la maggioranza gliele offre su un piatto d’argento, e ad inventarsi quando mancano.

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