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Giorgia Meloni rinsalda l'asse con il Vaticano: a testa alta davanti ai Gesuiti

Fausto Carioti
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Nessuna fuga, nessuna voglia di parlare d’altro e tenersi alla larga dalle questioni su cui una parte del mondo cattolico la pensa in modo diverso da lei, come la politica dell’immigrazione e l’aiuto militare all’Ucraina. Al contrario: Giorgia Meloni sceglie la sede di Civiltà Cattolica, la rivista dei gesuiti, e la ricorrenza dei dieci anni del papato di Bergoglio per spiegare e ribadire le proprie posizioni. Lo fa in nome dell’etica, prima ancora che della politica, e senza timore di usare categorie spirituali come la «misericordia». Già il fatto che stesse lì, significa molto. La premier ha presentato il libro di padre Antonio Spadaro, L’Atlante di Francesco, assieme al segretario di Stato vaticano, il cardinale Pietro Parolin, col quale ha avuto mezz’ora di colloquio privato, trovandosi d’accordo con lui sulla necessità di aprire corridoi umanitari per i profughi. Poco prima, nel suo messaggio di auguri, aveva ringraziato il pontefice «per essere una guida forte, autorevole e punto di riferimento per la Chiesa cattolica». I rapporti tra le due sponde del Tevere sono ottimi e l’aggressione al governo da parte della sinistra “umanitaria” non attecchisce in Vaticano. All’Angelus del 5 marzo, peraltro, Bergoglio era stato chiaro nell’indicare i colpevoli: «I trafficanti di esseri umani siano fermati».

 


Proprio all’immigrazione, e alle contestazioni ricevute, la presidente del consiglio ha dedicato le parole più nette: «Sono giorni particolari, nei quali il governo e la sottoscritta sono stati accusati di cose raccapriccianti, ma la mia coscienza è a posto. Più persone partono, più persone si mettono nelle mani di cinici trafficanti, e più c’è il rischio che qualcosa vada storto». Del resto, prosegue, le crisi impongono scelte. Siamo «nel momento più complesso dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale» e chi governa non può prendersi il lusso di non scegliere, come si faceva in passato. Con la politica industriale, con la politica economica, con le riforme, con le priorità su cui investire e con la politica estera, ricorda, «molto spesso ci si è limitati ad accontentare tutti i partiti che di volta involta componevano la maggioranza». Era la via più facile, anche perché prendere scelte «ha un costo in termini di consenso», come è avvenuto con la decisione di non prorogare il taglio delle accise sulla benzina. Non è più possibile. «Ringrazio di essere costretta a fare delle scelte, anche scontentando qualcuno».



Vale pure per l’immigrazione. «Sarebbe più facile mettere la testa sotto la sabbia, lasciare che siano i mafiosi a decidere chi può arrivare da noi e che in Africa continuino a prendere piede i mercenari della Wagner e i fondamentalisti. O che chi arriva si trovi a fare la manovalanza della criminalità organizzata o diventi vittima della prostituzione. Ma questo la mia coscienza non me lo consente». L’approccio giusto, spiega, è quello che ha ispirato i provvedimenti varati a Cutro: «Fermare i trafficanti, favorire i flussi legali e dare a chi arriva gli stessi diritti dei nostri cittadini». Per esempio, «non dovremmo accettare che chi arriva dall’Africa lavori a condizioni che i nostri cittadini non accettano».

 

MESSAGGIO AI PACIFISTI
La necessità di prendere scelte nette riguarda anche l’Ucraina, e in questo caso i destinatari del messaggio sono, con tutta evidenza, i pacifisti cattolici: «Non possiamo confondere un’aggressione con la pace. Se noi ci voltassimo dall’altra parte e non aiutassimo l’aggredito a difendersi, non avremmo la pace, ma il rischio di una guerra molto più vicina. Non passi il principio che il diritto del più forte vale più della forza del diritto». Nelle stesse ore in cui dal Cremlino filtra la notizia che il papa potrebbe fare un viaggio in Russia, la premier fa sapere che «la Santa Sede è la più idonea» per aprire un negoziato di pace e che «può contare sull’aiuto dell’Italia». C’è spazio anche perla «misericordia», che il papa invita ad usare come “fulcro” dell’azione politica. La traduzione pratica che ne dà la Meloni è «l’approccio non predatorio nelle relazioni internazionali». Ossia quello che lei intende fare per l’Africa («che non è un continente povero, ma è un continente sfruttato») mediante il “Piano Mattei”, intestato a un uomo che in quel continente «non arrivava per togliere e portare via, ma per lasciare qualcosa». È anche il modo migliore per contenere l’immigrazione: «Ho incontrato molti africani e quasi tutti mi hanno detto di non voler venire in Europa, di non voler essere costretti a scappare dalle loro terre, di voler riuscire a vivere bene nelle loro nazioni. Su questo ci siamo interrogati adeguatamente in questi anni?». 

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