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Sinistra, l'ossessione dei compagni per l'eterno fascismo

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Francesco Carella
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Un signore che trascorse gran parte della sua vita a studiare il fascismo nella dimensione di fatto storico determinato commentò gli allarmi per un ritorno in Italia delle “camicie nere” lanciato dalla sinistra all’indomani della vittoria elettorale di Silvio Berlusconi nella primavera 1994 con parole nette del tutto spendibili anche in questi giorni in cui si cerca di presentare Giorgia Meloni e la maggioranza che la sostiene come l’anticamera di una nuova stagione reazionaria. Egli scrisse che «l’obiettivo della sinistra, ieri come oggi, è quello di spaventare il Paese, per prendere voti che non si otterrebbero con gli argomenti politici». Quel signore era Renzo De Felice.

Infatti, immaginare il fascismo come un pericolo costante in Italia è una modalità politica largamente frequentata dalla sinistra a partire dai primi anni del Secondo dopoguerra laddove l’antifascismo fin da subito smette di essere considerato elemento imprescindibile del nostro sistema politico (così come lo intendevano i democratici e i liberali in sede di Assemblea Costituente) per assumere una funzione meramente ideologica al servizio degli interessi strategici del Partito comunista. D’altro canto, trasformare il Ventennio da entità storica compiuta in una minaccia continua consente al Pci di trovare nell’antifascismo un luogo simbolico per mezzo del quale ottenere quella legittimazione democratico-repubblicana che non poteva raggiungere in ragione della sua storia, dei suoi obiettivi e della sua collocazione internazionale. In tal senso, risultano illuminanti le parole con cui Palmiro Togliatti aprendo a Bari nel 1952 un convegno sulla figura di Antonio Gramsci - ribadisce che «in una società capitalistica la tentazione di una svolta reazionaria è da considerarsi sempre dietro l’angolo». Le conclusioni non richiedono alcun commento. «La minaccia del fascismo afferma il Migliore con sicumèra- non può che cessare quando si raggiunge un equilibrio progressivo con al centro la garanzia antifascista rappresentata dal Partito comunista».

Del resto, pochi anni prima nel maggio 1947 - allorquando Alcide De Gasperi estromette le sinistre dal governo- è sempre Togliatti a sostenere in Parlamento che «è democratica solo quella maggioranza che corrisponde al blocco di forze di cui fanno parte le sinistre. Soltanto una coalizione che corrisponde a un tale blocco può dirsi a pieno titolo legittima». Di lì in poi l’uso propagandistico del rischio di un ritorno allo spirito del Ventennio diviene la cifra politico-culturale con cui l’establishment della sinistra comunista attraversa la storia repubblicana. Coloro che osano criticare la linea politica del Pci diventano, ipso facto, «sabotatori dell’ordine democratico». In un articolo apparso sulla rivista Vie Nuove nell’agosto 1960 finanche Pier Paolo Pasolini afferma senza il benché minimo dubbio che «la borghesia italiana che ha espresso il fascismo è la stessa che oggi esprime la Democrazia Cristiana». È cosa nota che per il partito di Berlinguer, Bettino Craxi era nient’altro che «un bandito politico di alto livello, un uomo nero senza alcuna affidabilità democratica». Spartito e toni simili verranno utilizzati per raffigurare Silvio Berlusconi come «un fenomeno dai tratti criminali». Tutte variabili dell’italico “fascismo eterno”. Tema, quest’ultimo, assai caro ai “militanti antifascisti” che hanno sfilato in corteo lo scorso 4 marzo a Firenze guidati dal neosegretario del Pd Elly Schlein. Le grandi manovre per salvare la democrazia italiana sono di nuovo ripartite.

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