Veneto, clinica per cambiare sesso: le polemiche fuori luogo
Ha suscitato polemiche, da parte di ambienti di area cattolica, la decisione della Regione Veneto di rendere operativa una struttura sanitaria pubblica per consentire in sicurezza interventi demolitori necessari per curare la cosiddetta “disforia di genere”, la patologia di chi si sente imprigionato in un corpo di uomo pur sentendosi donna (o viceversa).
La legge regionale veneta del 1993 in realtà garantisce “l’assistenza medico-chirurgica complessiva necessaria alla rettificazione del sesso nei casi autorizzati con sentenza del Tribunale” , ma contrasti politici avevano sino ad ora impedito di renderla operativa. Chi soffre di questa disturbo accertato e documentato, in mancanza della applicazione della legge, o aveva le risorse finanziarie per recarsi all’estero in centri specializzati, oppure doveva affidarsi in Italia ad operatori che non garantivano nessuna professionalità per affrontare un iter chirurgico particolarmente complesso e delicato.
Di questo ho parlato alcuni mesi fa in un incontro privato a Treviso con l’avvoccato cassazionista Alessandra Gracis, un tempo Alessandro Gracis, e l’assessore regionale del Veneto Elena Donazzan, che sino ad allora aveva contrastato l’applicazione della legge. Ci siamo tutti trovati d’accordo sul fatto che il matrimonio può esistere solo tra uomo e donna, che i bambini possano essere adottati soltanto da coppie eterosessuali, che quella dell’utero in affitto è una pratica ignobile, che un eventuale cambio di sesso possa avvenire soltanto nella maggiore età, una volta diagnosticata la disforia ed ottenuta l’autorizzazione del Tribunale. Peraltro sono posizioni in netta contrapposizione con quelle dei gruppi oltranzisti LGBTQ, che lungi dal riconoscere la disforia come una malattia, sostengono la teoria fluida del gender (sono chi mi sento di essere) e sono affollati di personaggi pubblici che si presentano in politica e nello spettacolo come donne ma che in realtà sono uomini avendo conservato gli attributi virili. In ogni caso, chi polemizza con Zaia dal versante cattolico contesta una legge nazionale del 1982, recepita dal Veneto nel 1993 e finalmente attuata. Un po’ come accadde negli anni Sessanta del secolo scorso, quando vennero contestati per ragioni religiose i primi trapianti di cuore espiantati da un donatore deceduto, finché Santo Giovanni Paolo Secondo non ne certificò la piena aderenza alla morale cattolica.