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Giorgia Meloni, sorpresa: perché andrà al congresso Cgil

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Giovanni Sallusti
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Li sta portando a spasso, diremmo quasi compiaciuta. Parliamo di Giorgia Meloni, e dell’azione demolitoria, paziente, incessante, che sta conducendo contro i maestrini del luogocomunismo (prima) dominante. La destra è retrograda, sessista, biecamente ancorata a un modello patriarcale. E lei diventa la prima donna presidente del Consiglio. Sì, ma è inaffidabile, incerta sul piano internazionale. E lei colloca saldamente l’Italia in Occidente, al fianco dell’alleato americano e dell’Ucraina aggredita. Sì, ma non ha una ricetta economica, o meglio ne ha una buona per il disastro. E lei va in sostanziale continuità draghiana, con la differenza non da poco di guidare un governo programmaticamente coeso. Sarà un caso, ma i dati sulla produzione industriale sono migliori di quelli di Francia e Germania.

 

 

 

Infine, l’ultimo tabù (per ora): Giorgia Meloni sarà il primo premier di centrodestra a intervenire al congresso della Cgil. L’indiscrezione è stata rilanciata ieri dall’Huffington Post: la data fatidica dovrebbe essere il 17 marzo, durante l’evento di Rimini. La leader erede della frastagliata storia della destra italiana parlerà in uno dei massimi templi del sinistrismo tricolore, una delle “casematte” per eccellenza dell’egemonia gramsciana. Rendiamoci conto appieno: una scena quasi da Paese normale. Un’ovvietà solo apparente, il capo del governo ospitato dal sindacato più corposo, che spazza via chili di paginate e quintali di retorica ruminati in questi mesi. Il rischio fascismo. L’Italia lacerata. La destra anomala. Tutte puttanate, per usare l’unica categoria politologica all’altezza.

 

 

 

La verità è che davanti ai delegati Cgil si compirà un altro passo di quella pacificazione nazionale che è stato da subito uno dei principali obiettivi meloniani («Se saremo chiamati a governare lo faremo per tutti»), ribadito spesso anche da Ignazio La Russa in veste di presidente del Senato. Il conservatorismo nazionale, che è il vero orizzonte filosofico cui guarda Giorgia Meloni, è del resto anche quanto di più moderno ci sia. Proprio perché contempla la fine delle sbronze ideologiche, si colloca al di là di quel lunghissimo “secolo breve” che è stato il Novecento, prevede l’interesse nazionale come bilancia ultima, e quindi volge per sua natura i lineamenti caricaturali del nemico in quelli fisiologici dell’avversario.

Ecco cos’è, Giorgia Meloni al congresso della Cgil, il ripristino di una fisiologia che nella nostra democrazia sempre convalescente, se non patologica, non c’è mai stata. È la rivincita della regola istituzionale contro la perenne eccezione, l’allarmismo quotidiano sull’Uomo Nero presunto, totem monomaniacale della propaganda rossa. Giorgia è donna, non è nera, governa con alle spalle un’identità forte, ma davanti a sé l’interesse della nazione. Maurizio Landini lo sa, il suo invito è un atto di intelligenza, una sparigliata rispetto ai riti della sua stessa Chiesa laica. Quanto a Giorgia, sparigliare è forse l’essenza della sua parabola politica. Se va avanti, potremmo perfino diventare una democrazia matura. 

 

 

 

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