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Sondaggio, fuga dal Pd della Schlein: dove vanno quei voti

Arnaldo Ferrari Nasi
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Facendo fede alla presumibile linea politica del nuovo segretario Pd, Elly Schlein, ovvero da ciò si è potuto evincere da quanto dichiarato durante la campagna per le primarie e subito dopo l’elezione, si possono individuare due direzioni. Entrambe sarebbero correlate ed entrambe dovrebbero convergere sul risultato a breve-medio termine del recupero elettorale del Partito Democratico. Ormai da mesi, il Pd è stato superato nei sondaggi dal Movimento 5 Stelle, ovvero, non è più il partito principale della sinistra italiana. Si tratta di un dato virtuale, si sa, come si sa che il sondaggio d’opinione non è uno strumento preciso; ma è vero che quando i dati dei principali istituti seguono tutti la stessa direzione e lo fanno per più tempo, il fenomeno rilevato è effettivamente in atto. Il Pd di Elly Schlein, dunque, vorrebbe parlare agli astenuti, a chi non vota più, e vorrebbe farlo soprattutto recuperando tematiche identitarie, ovvero spostando a sinistra l’asse del partito. I dati, però, paiono indicare un probabile malfunzionamento di tale meccanismo, con, addirittura, un possibile ulteriore travaso di voti. L’astensione tout court, invero, non dovrebbe essere il primo bacino a cui guardare per tentare un recupero del voto per il Partito Democratico. Gli ex elettori Pd sono politicamente attivi, solo il 7% dicono di non andare più a votare o di annullare la scheda, e solo uno su quattro (26%) si dicono indecisi.

 

Piuttosto, due su cinque, il 42%, si è direzionato verso il Terzo Polo; molto pochi verso la sinistra più sinistra (7% Avs) e ancor meno quella populista, con il 3% del Movimento 5 Stelle. Interessante rilevare che il 12% è andato verso Fratelli d’Italia. Evidentemente l’effetto Giorgia Meloni, quale prima volta in Italia di una donna alla guida di un grande partito, che nei fatti si è dimostrato non estremista e ben condotto, ha avuto un effetto così importante da superare le paure di “fascismo” propagandate a sinistra. Analizzando le caratteristiche sociodemografiche di coloro che dicono di non andare a votare, rispetto a quelle di chi votava Pd ma ora non lo vota più, si notano differenze tali, che ancora fanno supporre come sbagliata la strategia della Schlein.

 

Proprio le donne, negli ex Pd pesano il 64%, mentre fra gli astenuti il 46%. I giovani, 15% contro 35%; l’istruzione medio bassa, 15% tra gli ex Pd, 42% tra gli astenuti. Geograficamente, 24% contro 8% nel Nord-Est e 27% di ex Pd contro 43% di astenuti, al Sud e nelle isole. Insomma, gli astenuti sono ben diversi dall’elettorato perso del Pd; ovvero, parlare agli astenuti non fa recuperare voti. Poi c’è lo spostamento a sinistra. Più che inutile parrebbe addirittura dannoso. Intanto, la quasi totalità chi oggi vota Partito Democratico si sente di centrosinistra (82%) e non di sinistra (17%), ma soprattutto, tra gli ex elettori Pd, il sentimento prevalente è quello del centro (31%) rispetto a quello della sinistra (27%). Ne consegue che se si riposiziona il partito su tematiche più caratterizzate, si rischiano tre aspetti: uno, andarsi a sovrapporre in un’area già ben presidiata dai 5 Stelle; due, “spaventare” gli attuali elettori, che paiono stare bene dove sono, rischiando di perderne alcuni; tre, non ottenere nulla dagli ex elettori, anzi allontanandosene sempre più.

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