Pd, lo stupidario politico-lessicale sulla tragedia di Crotone: parole a caso
La sensazione che si ricava seguendo le polemiche di questi giorni dopo la tragedia di Crotone è che in Italia sia davvero impresa difficile riuscire a liberarsi dello stupidario politico-lessicale della sinistra di matrice sessantottina.
Ci si era illusi che alcuni strumenti della subcultura comunista fossero stati consegnati in via definitiva al magazzino di un robivecchi. La qual cosa non sembra essere avvenuta a giudicare dalle molte reazioni maturate nella cosiddetta area progressista. Infatti, i “funzionari della verità” - come in una sorta di riflesso pavloviano - invece di attendere il risultato delle indagini, per capire che cosa sia andato storto nella catena delle comunicazioni la notte del nubifragio, si sono affrettati, con la nota sicumera, a dare la “giusta versione” dei fatti: si è trattato di una strage di Stato. Il dizionario della politica italiana compie, in tal modo, un salto indietro di parecchi decenni. Il concetto, famigerato e fuorviante, guadagna un posto di rilievo nel nostro dibattito pubblico all’indomani della strage di piazza Fontana avvenuta il 12 dicembre 1969 a Milano, quando viene dato alle stampe un pamphlet - per l’appunto “La strage di Stato” - in cui attraverso una dubbia operazione condita di sospetti e coincidenze vengono additati quali responsabili della bomba alla Banca dell’Agricoltura - in disprezzo delle più elementari regole fattuali non solo singoli funzionari o parti di servizi deviati, ma addirittura le più importanti cariche istituzionali del Paese. Vengono fatti i nomi del ministro dell’Interno Franco Restivo, del presidente del Consiglio Mariano Rumor e - tanto per non tralasciare nulla- viene tirato in ballo finanche il capo dello Stato Giuseppe Saragat.
Dietro quell’orribile atto terroristico si affermava nel libretto - non potevano non esserci personalità di così alto livello in ragione del fatto che essi non solo in quei mesi erano impegnati a contrastare le violenze di piazza commesse dai compagni, ma soprattutto risultavano amici degli Stati Uniti a cui veniva attribuita (manco a dirlo) la regia occulta della strage. Una tale vulgata diventa egemone presso l’establishment politico-culturale della sinistra a tal punto da guidare negli anni a venire l’interpretazione di tutti gli episodi cruenti che segnano la vita pubblica italiana nel secondo Novecento. Una forma mentis che informa di sé ricostruzioni storico-giornalistiche, atti parlamentari, requisitorie giudiziarie fino a ridurre in un unico quadro esplicativo l’intero capitolo dei misteri d’Italia. Tutto finisce nel medesimo calderone, dalle stragi impunite ai servizi segreti deviati, dalle Brigate rosse al terrorismo nero, da Gladio alla P2, dalla morte di Mattei al caso Moro e così per tante altre pagine della storia repubblicana. In tal senso, fare luce sui singoli accadimenti finisce con il risultare secondario rispetto all’opportunità di sfruttarli appieno per ragioni di opportunismo politico. Del resto, riportare ogni singolo atto dentro la logica della strage di Stato significa legittimare la validità del “verbo cominternista” che individua nello Stato democratico-liberale i presupposti di un perenne pericolo fascista al quale è necessario rispondere attraverso una continua mobilitazione popolare guidata dagli unici soggetti in possesso dei titoli giusti per farlo, ovvero i comunisti. Ci si era illusi che tutto ciò appartenesse al passato. Purtroppo, a giudicare dalle polemiche sul naufragio di Crotone sembra che poco sia cambiato. I fatti ancora una volta possono essere sacrificati in nome dell’ideologia.
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