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Elly Schlein, perché con lei torna il vecchio comunismo

 Elly Schlein

Corrado Ocone
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Con la conquista da parte di Elly Schlein della segreteria del Partito democratico, la sinistra italiana sembra virare definitivamente verso quel “partito radicale di massa” che aveva previsto Augusto Del Noce negli anni Settanta del secolo scorso. Con un importante distinguo, però. Il fatto è che nel frattempo le masse sono scomparse, nei numeri (dopo tutto la sinistra è minoritaria nel Paese) ma anche come idea. Non c’è stato, infatti, come si immaginava allora, il definitivo trasformarsi del proletariato in ceto medio, ma al contrario un trionfo completo dell’atomizzazione sociale e dell’individualismo. Ciò ha significato appunto la volatilità dei consensi elettorali, ma anche una insistenza della nuova sinistra sul tema dei diritti, o meglio dei bisogni e capricci individuali trasformati ipso facto in diritti.

Questo nuovo partito ha messo così da parte l’afflato libertario e anticonformista di un certo radicalismo alla Pannella per riproporre in altra forma le tendenze antidemocratiche e illiberali che erano proprie del vecchio comunismo. A farne le spese è stata però la parte “buona”, per così dire, del marxismo, quella cioè che portava a confrontarsi con la realtà effettuale delle cose, valutando i concreti rapporti di forza e privilegiando gli aspetti di sostanza del vivere sociale.

 

Con la Schlein sembra trionfare invece, ed occupare l’intero terreno di gioco, l’aspetto simbolico della lotta politica, fatto di immagini e parole d’ordine piuttosto che di difesa degli interessi effettivi dei deboli e degli svantaggiati soprattutto economicamente. I primi atti della neosegretaria sono stati, in questo senso, particolarmente significativi: la presenza a Crotone per strumentalizzare politicamente la morte in mare degli emigranti che si erano affidati a scafisti criminali e la presenza da protagonista alla odierna manifestazione antifascista di Firenze sono scelte che intendono trasmettere messaggi emozionali piuttosto che indicare delle concrete vie alternative da opporre alle politiche governative.

PRATICA EMOZIONALE - L’opposizione da reale diventa così morale; e la politica da azione razionale per il cambiamento delle cose si fa pratica emozionale atta a delimitare un campo di azione tutto e solo simbolico. È come se l’opposizione, ridotta a mera testimonianza, perdesse il senso della normale dialettica politica democratica e si facesse in qualche modo extraistituzionale. La cosa che più lascia sgomenti in queste ore è proprio la perdita, a sinistra, di ogni senso dello Stato, dell’idea stessa di un minimo di coesione nazionale che dovrebbe essere l’orizzonte comune a tutte le forze politiche.

 

 

Se le parole hanno un significato e sono “pietre”, parlare di “strage di Stato” a proposito dei fatti di Crotone o di “governo fascista” a proposito di un esecutivo che rispetta in pieno l’abc costituzionale, significa perdere quell’aureola di partito delle istituzioni o dello Stato che il Pd si era costruito negli anni. Tutto questo segnala una ulteriore degenerazione e incanaglimento della lotta politica, nonché una lontananza dai problemi reali di ampie fatte della popolazione. È però anche un’opportunità in più per la destra se riuscirà a non rispondere alle provocazioni crescenti concentrandosi invece sulla Politica con la maiuscola. Essa potrà ereditare la parte migliore del marxismo, quella attenta ai problemi concreti delle persone, e farsi inoltre in senso reale partito della nazione e delle istituzioni. Ha perciò sicuramente ragione Marco Rizzo, ultimo e fedele rappresentante dei trinariciuti marxisti d’antan, a non fidarsi della Schlein e a dire che, in tutta questa storia, saranno proprio i più deboli ad essere penalizzati dalle scelte di una sinistra che li rappresenta ormai solo a parole

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