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Strage di Cutro, le regole dei soccorsi firmate dall'ex ministro Pd

Lorenzo Mottola
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Volevano prendere Salvini con le mani nel sacco, sono andati a sbattere contro un candidato alle primarie del Pd. È dell’ex ministro Paola De Micheli la firma sull’ultima norma che regola gli interventi di soccorso in mare in caso di emergenza. E basta leggerla per comprendere perché non possa essere questa legge l’origine di quanto successo a Crotone. Procediamo con ordine.

Da una settimana le migliori firme della stampa italiana seguono tracce e spulciano decreti per far luce sul disastro di Cutro. Obiettivo dichiarato: scoprire la verità dei fatti. Obiettivo malcelato: trovare un legame tra il disastro e l’attuale governo. Perché, come spiega Matteo Orfini del Pd, l’opposizione non vuole «criticare la Guardia costiera per i soccorsi, ma cercare chi non l’ha messa nelle condizioni di operare».

Pensava di essere riuscita in questa impresa Repubblica. Come ha spiegato il direttore Maurizio Molinari: «Il decreto firmato da Salvini nel 2019 che impedisce alla Guardia costiera l’intervento in acque extra territoriali è all’origine della strage di Cutro. Un errore da correggere, una responsabilità collettiva». In realtà quel presunto errore, anche ammettendo che c’entri con quanto successo, è già stato comunque corretto. Perché è vero che Salvini ha stabilito il principio per cui «la difesa dei confini in assenza di acclarata emergenza debba prevalere sul dovere di soccorso».

 

 

Ma il ministro Paola De Micheli, con delega alle Infrastrutture, ha poi modificato le norme. Proprio per evitare ambiguità, la politica dem ha specificato con una circolare che le missioni di salvataggio internazionali devono partire anche a ogni minima segnalazione «quando si presume che sussista una reale situazione di pericolo per le persone, si deve adottare un criterio non restrittivo, nel senso che una notizia con un minimo di attendibilità deve essere considerata veritiera a tutti gli effetti. Alla ricezione della segnalazione dell’U.C.G deve intervenire immediatamente». Da qui la domanda: perché le nostre navi non sono intervenute subito, come dispone già da anni lo Stato? La risposta sembra semplice, quanto disarmante: perché c’è stato un errore di valutazione. Un errore umano.

I NUMERI DI CONTE - Sempre alla circolare De Micheli sembrava alludere Giuseppe Conte quando ieri spiegava che «il regolamento delle Capitanerie di porto sui soccorsi in mare redatto durante il mio governo parla chiaro: le persone in mare vanno salvate». Il che è vero, anche se in effetti durante il Conte 2 – esattamente come sotto tutti gli altri esecutivi che si sono succeduti in questi anni- sono stati migliaia i morti e i dispersi nel Canale di Sicilia. Il tutto nonostante il Covid avesse parzialmente ridotto gli sbarchi al Sud.

 

 

Quel che però la sinistra imputa a Salvini, come spiegava ieri Nicola Fratoianni, è di «impedire alla Guardia costiera di svolgere il proprio compito,» esercitando una generica pressione politica, che porta i militari a evitare un eccessivo interventismo per non essere criticati, per non far la figura dei “taxi del mare”. Una tesi ventilata anche dai principali quotidiani italiani (per esempio il Corriere della Sera, con l’editoriale di ieri). In realtà la “dottrina Piantedosi” prevede un comportamento diametralmente opposto: lotta alle navi delle Ong, i salvataggi in mare li deve fare la Guardia Costiera. Il tutto tenendo presente le immense difficoltà logistiche. Intercettare tutte le navi sembra semplice in una redazione o in uno studio televisivo, ma diventa mostruosamente complicato in mezzo al Mediterraneo. E a chi rimpiange le Ong va ricordato un dato: da quando è arrivata al governo Giorgia Meloni, anche calcolando l’ultimo disastro, i morti in mare sono stati meno (350) di quelli registrati nello stesso periodo dell’anno scorso, con Draghi a Palazzo Chigi e Lamorgese al Viminale (più di 500). Lo scorso anno, tuttavia, questi numeri non indignavano nessuno. Un mistero.  

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