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Giuseppe Conte, il capo dei manettari indagato per omicidio

Francesco Specchia
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Per la maggioranza è la nemesi storica, per i garantisti è un atto dovuto, per i grilllini è una tenue catastrofe mutatasi in grande imbarazzo. Comunque la si legga, l’iscrizione di Giuseppe Conte (e dell’ex ministro della Salute Roberto Speranza) nel registro degli indagati della Procura di Bergamo è una notizia. Lo si sapeva. Ma vederlo battuto, così, all’improvviso, su tutte le agenzie di stampa, be’ porta all’affanno o al sorriso compiaciuto, a seconda del lato politico con cui s’inghiotte un avviso di garanzia.

Eppure. Eppure, è un fatto potente che la Guardia di Finanza abbia avviato le notifiche per i reati di epidemia colposa aggravata, omicidio colposo plurimo e rifiuto di atti di ufficio, durante l’apocalisse del Covid. I filoni d’indagine sono complessivamente tre: la repentina chiusura e riapertura dell’ospedale di Alzano, la mancata zona rossa in Val Seriana e l’assenza di piano pandemiFr1 co aggiornato per contrastare il rischio pandemia lanciato dall’Oms. Non si tratta naturalmente di un «atto d’accusa», come spiegano i magistrati. Anche se le posizioni di Conte allora premier e Speranza risultano separate da quelle degli altri sotto indagine a tutti i livelli e dovranno essere giudicate dall’apposito Tribunale dei Ministri. Brutto a sapersi. Ma qui non si tratta di una sentenza di condanna, per carità. Epperò, grazie anche a una consulenza del microbiologo Andrea Crisanti oggisenatore Pd, i magistrati, pur con lodevole discrezione, si sono scatenati.

 

 

 

IL CASO ALZANO

E si sono concentrati sì sui morti - ad aprile 2020 nella Bergamasca se ne registrarono 6.200 in più rispetto agli anni precedenti –; ma anche sull’ospedale di Alzano chiuso e riaperto nel giro di poche ore. E, in special modo, i pm hanno approfondito, appunto, «la mancata istituzione di una zona rossa uguale a quella disposta nel Lodigiano, in un territorio che aveva un numero di contagi comparabile a quello del Lodigiano, che venne invece subito sigillato, e poi il mancato aggiornamento del piano pandemico, fermo al 2006; e l’applicazione di quello esistente che, anche se obsoleto, avrebbe potuto contenere la diffusione del Covid». Così recita la fredda burocrazia.

La burocrazia è fredda, ma gli animi si accalorano. Il capo dei 5Stelle resta legittimamente spiazzato: «Ho appreso dalle agenzie di stampa notizie riguardanti l’inchiesta di Bergamo (avviene, di solito, a tutti gli indagati di rango, ndr). Anticipo subito la mia massima disponibilità e collaborazione con la magistratura. Sono tranquillo di fronte al Paese e ai cittadini italiani per avere operato col massimo impegno e con pieno senso di responsabilità durante uno dei momenti più duri vissuti dalla nostra Repubblica». E poi, confermando il senso dello Stato, Conte aggiunge di non aver mai agito da solo ma di essersi confrontato sempre con tecnici ed esperti. Ed è vero. E spiega che «oggic’è quasi una rimozione collettiva, ma è stato un virus invisibile con cui abbiamo lottato- come istituzioni, come Italia - quasi a mani nude, perché siamo stati il primo paese occidentale più colpito, profondamente. Non c’era un vademecum, abbiamo seguito un percorso, e ritengo di avere agito con la massima umiltà nel confronto con gli scienziati - i quali anche loro non esibivano certezze nella prima fase della pandemia con il massimo impegno e senso di responsabilità». Ed è vero anche questo. Com’è vero, d’altronde, che in questa nuova veste d’imputato, il Presidente del M5S è sceso dal cielo di un giustizialismo cieco pronto e assoluto ed è precipitato tra i comuni mortali.

 

 

 

HA RAGIONE RENZI

Ha ragione Matteo Renzi in un suo tweet al cianuro: «Conte è indagato. Questo significa che è innocente fino a sentenza passata in giudicato. Lo è per la legge, lo è per noi che non siamo sciacalli come i grillini. Chi ha costruito una carriera sul giustizialismo dovrebbe stamani chiedere scusa a chi è stato insultato, diffamato, deriso». E a Renzi fa eco Raffaella Paita, la sua presidente di gruppo in Senato, che dopo aver subìto «personalmente gogna e insulti giustizialisti del M5S» da innocente, indagata e pienamente assolta, si prende la sua rivincita morale. Bene, todos caballe ros. Ora, non ci metteremo qui a discutere sul “non–statuto”, sul codice di comportamento grillino modificato, in tema di indagini giudiziarie, via via con gli anni (l’ultima volta nel 2017) e coi legittimi opportunismi. Laddove si parla del rispetto dell’art. 54 della Costituzione, «i cittadini cui sono affidate funzioni pubbliche hanno il dovere di adempierle con disciplina e onore»; o dell’istituto da giurisprudenza quantistica dell’«autosospensione»; o del Garante e del Collegio dei probiviri che possono tranquillamente fregarsene dell’etica giustizialista, giudicando «caso per caso», roba inconcepibile al grillismo di una mezza dozzina d’anni fa. Ora aspettiamo, in rispettoso silenzio, che assolvano Conte. E che i pentaindignati non ci rompano più le palle alla prossima indagine... 

 

 

 

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