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Elly Schlein, la proposta-farsa sulla giustizia climatica

Iuri Maria Prado
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Tra le carrellate di bellurie de sinistra offerte da Elly Schlein in occasione della conferenza stampa di domenica scorsa avrebbe dovuto fare il botto, e invece è rimasta incomprensibilmente negletta, la ricettona che la nuova segretaria del Pd ha scodellato fresca fresca il giorno della vittoria su Bonaccini, aka Capitan Sopracciglia: la “giustizia climatica”.

Solo gli osservatori ingenerosamente maliziosi penserebbero, sentendo di “giustizia climatica“, alle propensioni criminali dei ventilatori e al diritto di voto delle tende parasole: ma anche quelli più benevoli capirebbero che quella dicitura denuncia l’idea un po’ balorda, per quanto assai glamour, secondo cui la natura, e cioè la realtà, deve essere ricondotta a giustizia per legge, con le vittime risarcite e i colpevoli condannati.

E siccome non si può multare il ghiacciaio che si ritira né mandare l’avviso di garanzia alle mezze stagioni in latitanza, l’incolpazione è verso chi si immagina: l’avidità del capitalismo individualista, il neoliberismo selvaggio, le crudeli privatizzazioni, tutta roba di strepitosa e scandalosa evidenza particolarmente qui da noi, con lo Stato che possiede il 45% dell’impresa italiana e ti seppellisce di scartoffie e di tasse se ti azzardi a fare questa cosa strana e tendenzialmente illecita che è metterti sul mercato e tentare di cavarne un profitto.

 

Il clima che cambia è un fatto con cui occorre fare i conti, ma non è un’ingiustizia che genera un diritto risarcitorio: e straparlare di “giustizia climatica” tradisce invece proprio quel pregiudizio. Vediamo se al congresso propone la redistribuzione del ponentino quando si soffoca e il decreto antigelo contro l’ingiustizia di San Silvestro.

 

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