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Firenze, la retorica stonata dei progressisti

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Iuri Maria Prado
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La dirigente del liceo “Leonardo da Vinci” di Firenze, la specie di capocaseggiato progressista da cui la sinistra sta ripartendo per adunare le masse democratiche a difesa della Costituzione in vernacolo arcobaleno, ha messo in bella copia (si fa per dire) lo stereotipo repubblicano secondo cui esisterebbe un sorta di obbligo antifascista consistente non già nel ripudio della sopraffazione antidemocratica e della violenza illiberale, bensì nell’osservanza talmudica delle retoriche in colonna sonora Bella Ciao che da settant’anni assediano il quieto vivere degli italiani.


Di tutti gli italiani, e cioè anche di coloro ai quali quella musica dà doppiamente fastidio: innanzitutto perché quell’obbligo di militanza antifascista non c’è; poi perché è tutto da dimostrare, anzi c’è prova del contrario, che quei musicanti abbiano qualsiasi titolo per dividere il lecito dall’illecito tramite etichettatura 25 aprile.


E al ministro Valditara, in realtà, il circuito dell’antifascismo con le mostrine non addebita di aver vagheggiato “provvedimenti” nei confronti di chi, come quella preside, nuovamente si lasciasse andare ad analoghe iniziative (lì, semmai, stava l’inopportunità della reazione ministeriale). No: gli addebitano di non aver fatto propri ed elogiato gli spropositi di quella professoressa. E allora c’è da capirsi. Se la signora rumina quella roba va benissimo (se la propina agli studenti un po’ meno): ma resta roba loro, roba che non deve piacere a tutti né tanto meno per forza. 

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