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Beppe Grillo, il pechinese che scodinzola per Xi Jinping

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Renato Farina
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Beppe Grillo mercoledì sera ha festeggiato alla sua maniera l’insediamento del nuovo ambasciatore cinese a Roma. Ha portato a Villa Miani un regalino a Jia Guide: un palloncino bianco. Ha detto: «Questa è la sonda che volteggiava sopra casa mia. L’ho recuperata e restituita al suo legittimo proprietario». Secondo me si sta mettendo in competizione con l’ex comico Volodymyr Zelensky per questa capacità fantastica di suscitare simpatia. L’Occidente ha Zelensky, l’Oriente avrà l’originale del comico passato alla politica. Il diplomatico ha sorriso esibendo denti bianchissimi più del palloncino. Dicono fosse imbarazzato. Ma va’.

 


Certo che non piacciono agli orientali queste rotture del protocollo, per loro è quasi equivalente a spezzargli l’osso del collo, come se per manifestargli amicizia gli avessero tirato il naso con le pinze, svilendo la cerimonia con una gag abbastanza infima. Deve aver pensato: ma chi mi tocca come alleato in Italia, meno male che accanto a Grillo possiamo contare qui su Romano Prodi e Massimo D’Alema. Non è sciocco però Jia, incassa e riesce a mantenere una buona cera: capisce il linguaggio delle cose. L’inventore dell’“uno uguale a uno” ha voluto affermare che il fondatore e garante dei Cinque Stelle, con tutti i suoi fidi, sta dalla parte gialla della storia. Valgono il 15 percento? Sì ma, benedicenti Travaglio e Bersani, è questione di tempo e si costituirà il rassemblement di M5S, Pd e Sinistra. Pare ci sia già l‘inno, tipo: avanti popolo al vaffanculo. Farli salire in groppa al Dragone per farsi portare dove vuole Xi resta un affare mica da poco.

 

MOMENTO PARTICOLARE
Si badi al tempismo di questo scodinzolare: era stato di poche ore prima l’annuncio statunitense della fine dell’illusione su una Cina gelida e renitente con Mosca. Xi ha ormai ha passato il Rubicone, non può essere separato da Putin. Allo stesso modo dello Zar Vladimir, precipitando la similitudine tragicamente in basso, Grillo è una cosa sola con i cinesi. Per provarlo ha portato con sé, abbinati al palloncino come gadget culturale, i due intellettuali del suo giro Danilo Della Valle e Fabio Massimo Parente, teorici della esemplare democraticità di XI Jinping, secondo i quali è logico che si innervosisca un po’ quando qualche scalmanato protesta in piazza, e sono bugie tutte quelle storie di persecuzione religiosa e razziale contro i musulmani Uiguri, in realtà una minoranza di ingrati.


E così Grillo è tornato ai bei tempi del governo quando nel 2019 si recò all’ambasciata cinese in Roma a baciare la pantofola al rappresentante dell’imperatore, facendosi incantare da un gavettone di tè e da chissà cos’altro: i genovesi non sono portati a regalare qualcosa senza averne una bella convenienza. Accadde allora che lui e Conte a Palazzo Chigi con Luigi Di Maio alla Farnesina tracciarono la “via della seta”, una specie di foulard che XI Jinping ci strinse intorno al collo per strozzarci e poi annetterci. Un atto di sottomissione del popolo italiano rappresentato dal governo giallo-rosso.
Grillo è tornato ripetutamente nella sede diplomatica cinese, ancora nel giugno del 2021, mentre il M5S governava con Draghi un attimo prima di scaricarlo. Fu allora che Giorgia Meloni emise una sentenza che oggi appare- in tempo di guerra- profetica: “Il Movimento 5 Stelle è la quinta colonna del regime cinese in Italia”. Quinta colonna è assai più che simpatizzante, è il lavoro della talpa sotto la tenda.

 

A questo punto siamo costretti a trovare delle giustificazioni a questo gesto così candidamente plateale di Grillo, a tal punto sperticatamente candido, da suscitarmi una qualche commozione per il suo dolore. Ha visto il clamoroso innalzamento di Volodymyr Zelensky a dio in terra, eroe senza macchia e senza paura, e dev’essergli venuto da piangere. Vero è che secondo la leggenda i clown sono tutti tristi e appena fuori dal tendone del circo annegano nelle loro lacrime. Ma qui non siamo davanti alla malinconia, la quale peraltro innaffia la vita di tutti, ma alla sofferenza di chi si è fatto portare via il pallone.
Mettiamoci nei suoi panni. Quel tappo di Volodymyr, quello psiconano con la testa asfaltata, mi ha rubato il brevetto, come fece Bell con Meucci perla storia del telefono. Deve aver senz’altro pensato qualcosa del genere. Qualcuno ha da obiettare per i nomignoli già usati per il Berlusca? Sono pur sempre parte del mio repertorio. Tutta questa fatica creativa per mettere su un esercito da conquistare il Parlamento e squartarlo, vabbè aprirlo come una scatola di tonno, e poi arriva un comicuccio ucraino che al massimo potrebbe farmi da badante, e mi ruba l’esclusiva.

 

DIRITTI UMANI VIOLATI
Gli pagasse almeno i diritti d’autore per l’invenzione del comico che salva il mondo. Niente. Aveva provato in passato a piacere agli americani e forse alla sua stessa coscienza. Fino a tutto il 2018 aveva tirato schioppettate formidabili sul suo blog contro il comunismo asiatico. Giulia Pompili lo raccontò più di un anno fa sul Foglio. Grillo si espresse contro le violazioni dei diritti umani, “sull’occupazione del Tibet censurata dalle tv”. Ancora: si arrabbiò come un pitbull per il trattamento subito dalla minoranza turcofona degli uiguri, che Pechino vuole “ cancellare” dalla regione dello Xinjiang. Chiamò il sindaco di Milano “Pisapippa” (Pisapia), “neomaoista meneghino”, perché non concesse la cittadinanza onoraria al Dalai Lama. Poi Conte diventa presidente del Consiglio in quota Grillo, e la Cina si trasforma nella Civitas Dei. Meglio, anche come comico, Zelensky. 

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