Nato, esce Macron ed entra Meloni? Il retroscena
Si è aperto uno spazio politico enorme in Europa, fianco debole dell’Alleanza atlantica, e Giorgia Meloni vuole occuparne il più possibile. Oggi sarà a Kiev soprattutto per questo. Il vertice trilaterale organizzato l’8 febbraio all’Eliseo da Emmanuel Macron con Volodymyr Zelensky e il cancelliere Olaf Scholz sembrava aver dato un indirizzo preciso: l’asse franco-tedesco avrebbe gestito il “dossier Ucraina” allo stesso modo in cui ha trattato sinora tutte le partite europee importanti, ovvero lasciando agli altri le briciole. E in gioco, stavolta, c’è la ricostruzione dell’Ucraina, che significa fatturato per le imprese, ma anche influenza politica per gli Stati che avranno un posto in prima fila. Motivi per cui il presidente francese aveva voluto tenere la Meloni lontano da quel tavolo. Nemmeno due settimane dopo, il disegno di Macron si è rivelato per quello che era: un gesto velleitario.
LE AMBIGUITÀ DI BERLINO - In casi come questo l’unica sostanza che conta, la sola in grado di legittimare chi avrà diritto a dire la propria sulla ricostruzione, è la volontà politica di aiutare lo Stato aggredito, anche con le armi. E la Francia non sta facendo la propria parte. Lo ha detto Zelensky ieri, commentando l’insistenza con cui Macron, convinto di avere un canale privilegiato con Vladimir Putin, vuole dialogare col presidente russo. «Sarà un dialogo inutile, Macron sta perdendo il suo tempo». Quanto alla Germania, si è rivelata l’anello debole della Nato: priva di una leadership forte, spesso ambigua verso il Cremlino e condizionata dalla dipendenza economica dalla Cina. La bocciatura della strategia di Macron è il migliore benvenuto che Zelensky potesse dare alla presidente del consiglio italiana che oggi lo incontrerà a Kiev. Anche perché, nelle stesse ore, un messaggio simile arriva dal presidente statunitense Joe Biden, che il viaggio a Kiev se lo è fatto ieri: «Sono venuto per riaffermare il nostro incrollabile impegno per la democrazia, la sovranità e l’integrità territoriale dell’Ucraina».
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Ovvero nessuna concessione territoriale alla Russia e dunque nessun dialogo con Putin come quello che vorrebbe tessere Macron. È questo, infatti, il senso della missione europea del presidente americano: far capire ai leader del vecchio continente che bisogna restare uniti. È a loro che si rivolge, prima ancora che a Zelensky. Nei momenti normali certi “smarcamenti” dei partner non creano problemi, ma quando si è in una dinamica da guerra- fredda o calda che sia - bisogna fare quadrato.
La Meloni lo ha capito prima ancora di andare al governo, e ora può sfoggiare la determinazione e la forza politica che Macron e Scholz non hanno. La presenza di Biden, che nel giro di poche ore ha fatto il percorso inverso (lui prima a Kiev e poi a Varsavia), non era prevista, perché il presidente americano ha fatto tutto a sorpresa, e se da un lato toglie alla premier un po’ di riflettori, dall’altra rende ancora più evidente la sintonia tra Roma, Washington e Kiev.
Alla Meloni, ora, il compito di mettere la sostanza: le forniture militari e la garanzia che starà con l’Ucraina sino alla fine. Con gli impegni è stata chiara già ieri, parlando accanto al primo ministro polacco Mateusz Morawiecki: «Ci siamo stati e ci saremo». Concetti che ribadirà oggi con Zelensky. Assieme al quale, almeno in privato, entrerà nel dettaglio delle armi.
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LA SCELTA DELLE ARMI - In cima alle richieste ucraine sponsorizzate dalla Casa Bianca c’è la fornitura delle batterie Samp/T, che lanciano missili anti-aereo e anti-missile di produzione italo-francese. Da Washington spingono affinché siano consegnate il prima possibile. Roma è pronta, ma deve farlo con Parigi: Antonio Tajani assicura che avverrà «quanto prima». L’altra fornitura in discussione riguarda i caccia europei. Quelli italiani prossimi alla dismissione, i Tornado e gli Amx, hanno caratteristiche offensive e dunque non rispettano il principio per cui l’Italia fornisce solo strumenti di difesa. Peraltro, secondo gli esperti, avrebbero poche possibilità contro le difese russe. Discorso diverso per i caccia Typhoon della Gran Bretagna, utili solo a difendere i cieli ucraini: se il governo di Londra deciderà di inviarli, l’Italia, che in quanto Paese co-costruttore deve essere coinvolta, darà il proprio via libera. Ed è ovvio che in queste scelte della Meloni, come nel suo incontro di oggi con Zelenky, c’è anche una risposta a Silvio Berlusconi, che nei giorni scorsi aveva criticato il presidente ucraino e si era detto contrario all’invio di altre armi. Ma è una risposta implicita: l’obiettivo della premier è molto più alto e riguarda i rapporti di forza tra i Paesi europei, non quelli nel governo.