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Ruby-ter, accuse-patacca corroborate da una certa parte di stampa

Iuri Maria Prado
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Se l’avessero condannato avremmo assistito alla traduzione in dialetto giudiziario della balorda leggenda accreditata durante un decennio di accuse improbabili, scoop democratici da tabloid guardone, sociologismi da maratona televisiva porno-soft, investigazioni del giornalismo embedded in Procura: e cioè che il fondatore del centrodestra italiano era non solo un gangster, non solo un palazzinaro coi soldi della mafia, non solo uno stragista, non solo il capofila di un giro di prostituzione, ma pure un corruttore di minorenni prima schiavizzate a soddisfazione degli appetiti del drago e poi indotte a mentire alla giustizia morale che avrebbe finalmente messo al suo posto, e cioè in galera, quel devastatore delle istituzioni e dei buoni costumi repubblicani.

Perché quello è e quello rimane, per la parte politica che perde le elezioni e fa saltare i governi per via giudiziaria, nonché per l’editorialismo che la supporta, Silvio Berlusconi: un usurpatore, un criminale da trattare come si trattano i criminali, prendendogli i soldi e mandandoli dietro le sbarre. Per quell’Italia malvissuta, recessiva alle elezioni ma prepotente nei circoli delle mani pulite, nella stampa coi fiocchi e nella televisione pagata in maggioranza da quelli che non votano a sinistra, nessuna assoluzione, e nemmeno quest’ultima, è sufficiente a compromettere l’indiscutibilità del curriculum delinquenziale addebitato nei decenni a Berlusconi.

 

Eppure sono stati quei processi-patacca, quelle accuse destituite non solo di fondamento ma perfino di minima credibilità, ad alterare la vicenda civile e politica del Paese. E sono stati quei processi, imbastiti sulla chiacchiera da bar togato e sugli sproloqui intorno alle furbizie orientali, sono stati quei processi e quelle accuse incartate in ettari di prime pagine vigliacche e cialtrone a tener su il racconto dell’Italia onesta e democratica funestata dalle malefatte del manigoldo di Arcore. 

E non sarà questa decisione sul Ruby ter a cambiare l’andazzo presso quei circoli combattenti, perché va a senso unico quella militanza criminalizzatrice: la condanna, anzi già solo l’accusa, dice e spiega tutto, mentre il riconoscimento dell’innocenza è solo la prova che la giustizia - non quella che reclamava il carcere, ma quella che ha assolto - ha sbagliato qualcosa. In un altro sistema della competizione politica e della cosiddetta informazione sarebbero anche- o forse innanzitutto - gli avversari di Berlusconi a riconoscere e denunciare l’enorme stortura costituita da questa pluridecennale e inesausta persecuzione. Ma in un sistema diverso, e con un giornalismo diverso, quella stortura nemmeno si sarebbe prodotta.

 

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