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Pd, furia-Bonaccini dopo il voto: che teste vuole far saltare

Bonaccini

Elisa Calessi
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Il congresso del Pd pesa, inevitabilmente, nelle ore in cui, tra Lazio e Lombardia, i dem affrontano una sconfitta annunciata, ma non per questo meno pesante. E così, non appena i risultati diventano inequivocabili e si capisce di aver perso il Lazio (dove si governava da dieci anni) e di aver confermato l’esclusione dal governo in Lombardia, quando si deve ammettere che non ha funzionato né l’alleanza con il Terzo Polo, né quella con il M5S, i giudizi divergono.

Enrico Letta, segretario uscente, fa uscire, dopo le prime, devastanti proiezioni, una nota che evidenzia il bicchiere mezzo pieno: «Il dato che esce dalle urne in Lombardia e Lazio è chiaro. Il centrodestra vince in entrambe le regioni; non possiamo essere contenti. Tuttavia, in un quadro politico per noi particolarmente complicato e con il vento chiaramente contro, il Pd ottiene un risultato più che significativo, dimostra il suo sforzo coalizionale e respinge la sfida di M5S e Terzo Polo».

È fallita l’Opa sul Pd, si consola Letta. Il Pd sia nel Lazio che in Lombardia veleggia sul 20%, mentre il M5S dimezza i propri voti. E così il Terzo Polo. «Il tentativo ripetuto di sostituirci come forza principale dell’opposizione non è riuscito. L’Opa contro il Pd ha fatto male a chi l’ha tentata».

 

 

VERDETTO SEVERO - Peccato che il giudizio di quello che, molto probabilmente, fra due settimane sarà il segretario del Pd, è molto diverso. Le elezioni regionali in Lombardia e Lazio? Per Stefano Bonaccini sono «una sconfitta netta che fa seguito alla sconfitta alle elezioni politiche dello scorso anno». Per questo «serve un altro Partito democratico, un cambio di passo e un nuovo gruppo dirigente».
Bonaccini lancia, poi, una frecciata «agli amici del M5S e del Terzo Polo: è evidente che senza il Pd non può esserci alternativa alla destra. Ci riflettano per evitare di rimanere isolati in una competizione che dovremmo provare a costruire, con pazienza e ognuno con la propria autonomia, attorno a temi possono trovare unità».

La strategia era preparata da giorni. Di fronte alla probabile sconfitta, Bonaccini era pronto a sottolineare quello che, poi, è un dato di realtà: candidati e alleanze sono stati gestiti dal gruppo dirigente uscente, tocca a loro assumersi il peso del risultato. Ma di fronte alla dimensione della sconfitta, il segretario in pectore si è lasciato andare a qualche considerazione in più.

«Qualcuno ha detto che i migliori del Pd non starebbero con me, indicando persone che sono state protagoniste di questa serie di sconfitte. Se quelli indicati sono i migliori, allora si fermano un giro e stavolta facciamo giocare quelli che sono più banalmente normali, discreti, ma che hanno dimostrato di saper vincere contro la destra».

 

 

La morale di una brutta giornata è, insomma, che gli attuali inquilini del Nazareno devono – ancora di più – farsi da parte. E il fatto che il Pd continui a essere il primo partito dell’opposizione, per Bonaccini non conta granché: «Può consolare vedere il Pd prima forza del centrosinistra e senza il Pd è impossibile l’alternativa, ma il Pd ha bisogno di cambiare, a partire dal gruppo dirigente». Basta con le analisi autoconsolatorie: «Perdere si può sempre in democrazia, ma l’obiettivo deve essere quello di vincere». Finiamola con «l’autoprotezione» e «l’autoconsolazione identitaria».

ALLEATI VARIABILI - Un giudizio condiviso, paradossalmente, dalla sua sfidante, Elly Schlein: «La sconfitta in Lazio e Lombardia è netta. Ora bisogna cambiare per davvero, nella visione, nei volti e nel metodo. Solo così si potrà ricostruire un campo progressista e tornare a vincere insieme». Ma i colpi non sono solo dentro il Pd. A sera si innesca una polemica anche con gli alleati “variabili”: «Una certezza nella vita: il Pd non perde mai. E se perde è sempre colpa di qualcun altro», reagisce Carlo Calenda, irritato da un risultato deludente sotto ogni punto di vista. «Caro Bonaccini avete e abbiamo perso perché siamo minoranza in un Paese che non vota. Occorre andare comune per comune a riprendere i voti. Politicismi e alchimie non funzionano». Mentre Conte si scaglia contro il segretario uscente: «Ascoltare il redivivo Letta rendere dichiarazioni entusiastiche, sembra stappare bottiglie di champagne sulla performance del Pd, francamente se immaginiamo in particolare il Lazio dove c’è un candidato indicato da Letta e Calenda, che consegnano la Regione al centrodestra, avrei poco da festeggiare».

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