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Schillaci, schiaffo all'Europa: "Il vino fa bene, Bruxelles va educata"

Orazio Schillaci

Pietro Senaldi
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Sigaretta?
«Non ne ho mai fumata una in vita mia».

Com’è possibile, neppure da ragazzo per provare?
«Sarà stato l’imprinting negativo che ho ricevuto da piccolo.
Ho ancora nelle narici l’odore del salotto impregnato di fumo di quando ero bambino e mio padre passava le serate con la sigaretta in mano. Quell’aria irrespirabile che ti invadeva quando aprivi la porta».

Si ricaricava così. Dicono che fumare sia un anti-stress, lei ha concesso poche interviste, potrebbe aiutarla a distendere i nervi...
«Passo. I danni del fumo sono ormai riconosciuti da tutti. Meglio mangiarsi le unghie piuttosto che fumare».

Lei se le mangia?
«L’ho fatto per tanto tempo. Poi mi sono rilassato. Ma le assicuro che smettere di mangiarsi le unghie è più difficile che smettere di fumare. Le mani le hai sempre lì, non devi andare in tabaccheria».

Con l’idea di estendere i divieti di fumo, portandoli anche all’aperto, non teme l’impopolarità?
«Nel caso, me ne farò una ragione. Penso di essere nel giusto. Quando vent’anni fa il mio predecessore, il ministro Sirchia, mise una fitta serie di divieti fu molto più contestato di me, ma il tempo ha dimostrato che aveva ragione.
Quella decisione ha salvato centinaia di migliaia di vite».

Il divieto di fumo fuori da scuola però non è una misura da talebani?
«Io non ho un approccio ideologico. Vedo la lotta al fumo all’interno di un discorso di prevenzione, che è la sfida principale perla nostra Nazione e per un servizio sanitario che funzioni al meglio».

Ma lei è atteso da una sfida ben più ardua...
«E quale sarebbe?».

Deve convincere a smettere di fumare il nostro premier, che è piuttosto testardo. Pensa di riuscirci?
«Io le voglio bene e mi auguro che smetta, come le ho consigliato.
Le dirò che ce lo chiede l’Europa. In effetti, le restrizioni al fumo fanno parte delle raccomandazioni che Bruxelles fa più insistentemente agli Stati membri».

 

 

 

Una critica che la destra ha sempre fatto all’Europa è di voler imporre un pensiero unico...
«A me interessa la salute degli italiani, soprattutto dei ragazzi, delle donne incinte, dei più deboli.
L’estensione del divieto di fumo ai parchi giochi, all’uscita delle scuole o nei pressi degli ospedali ha questa unica ragione. Poi per il resto sono abbastanza liberale. Ma mi lasci dire che fumare di meno ci aiuterebbe ad avere liste d’attesa in ospedale più corte. La cosa più importante in questo momento è ridurre il numero dei potenziali malati. Conosce il detto che siamo noi i migliori medici di noi stessi? La salute dipende dallo stile di vita che riusciamo a mantenere e meglio stiamo come popolazione, più la sanità riesce a far fronte a tutte le sfide».

Puntare tutto sulla prevenzione significa che non siamo in grado di curare tutti?
«La rivista scientifica britannica Lancet, la più autorevole del nostro settore, ha scritto recentemente che la sola cosa su cui può puntare il sistema sanitario inglese è la prevenzione. In Italia siamo messi meglio che in Inghilterra ma siccome, anche per questo, siamo sempre più anziani mentre i medici sono sempre di meno, se vogliamo una sanità pubblica gratuita per tutti è necessario lavorare sullo stile di vita, altrimenti il sistema non regge».

«Potenza e precisione. Schillaci, gol» urlava Bruno Pizzul nelle telecronache di Italia ’90. Lei è come il centravanti azzurro?
«Mio padre era siciliano come il calciatore, anche se lui di Catania e Totò di Palermo. Io però sono romano e in quell’estate andavo all’Olimpico».

È sbucato anche lei d’improvviso...
«Sono stato una sorpresa, non ero tra i nomi indicati dai giornali.
Sono stato segnalato, ho incontrato la Meloni il giovedì e il sabato ho giurato al Quirinale da ministro».

Soffre per la sua Juventus?
«Meglio parlare d’altro in questo momento».

È un complottista o pensa che la società ci abbia messo del suo?
«Complottista mai. Mi vanno bene i 15 punti di penalizzazione. Speriamo che non ci mandino in serie B, però dovremmo stare un po’ più attenti in futuro. Anche perché la recidiva nella giustizia è come in medicina, fa più male».

Diplomatico, diversamente che per le sigarette...
«Sono uno spirito libero, un anti-proibizionista, ma da ministro devo fare l’interesse degli italiani. La Sanità si cura anche ammalandosi meno».

Allora sta coi Paesi nordici che vogliono mettere etichette terrorizzanti sulle bottiglie di vino?
«Il vino è cosa diversa dal fumo. C’è tanta letteratura che sostiene abbia, nelle giuste quantità e all’interno di una dieta equilibrata, che io chiamo “mediterranea italiana”, effetti anche salutari, per esempio verso le patologie metaboliche o cardiovascolari».

L’Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che sia cancerogeno...
«Tanti cibi sono messi sotto accusa per questo. Non bisogna essere ideologici, il vino va valutato all’interno di un regime alimentare. Il Nord Europa ha un problema di alcolismo che noi non abbiamo e accomuna vino e super-alcolici. La nostra sfida è insegnare a certi Paesi come si mangia e si beve, e allora avranno meno paura del vino. Dobbiamo esportare la nostra cultura dell’alimentazione, anche se sospetto che dietro l’attacco a certi nostri prodotti ci sia del nazionalismo, la tutela che gli altri Paesi perseguono dei loro interessi a scapito dei nostri, ma anche a danno della loro salute».

 



 

A proposito di interessi particolari, la sinistra contesta l’autonomia regionale approvata negli scorsi giorni dal Parlamento perché sostiene che distrugge la sanità del Sud. Lei è d’accordo?
«Dal punto di vista della sanità le Regioni sono già autonome. Il ministero ha i fondi ma li spartisce tra le Regioni, che decidono come mettere in campo le risorse ricevute».

Come mai alcune Regioni hanno i conti a posto e gli ospedali in buona salute e altre no?
«Non è una questione geografica ma di gestione. Anche il Sud ha delle eccellenze mediche. La verità è che ci sono bravi amministratori e amministratori meno bravi o arraffoni. Per eliminare le disparità, la sola ricetta è la responsabilizzazione dei territori. Se certe Regioni meridionali hanno una sanità poco efficiente non è perché altre Regioni settentrionali ce l’hanno migliore ma perché sono gestite male».

Vuole poter cacciare i dirigenti sanitari inefficienti?
«Diciamo che io penso che potrebbe essere utile che il ministero abbia qualche arma in più per verificare chi fa bene e chi no per dare poi delle direttive. Oggi non abbiamo le leve in mano. Le scelte sulla sanità sono regionali ma questo non significa che non si possa collaborare nell’interesse della salute collettiva».

Ma quindi lei rivendica maggiore centralismo?
«Penso che le Regioni di fatto siano già autonome ma che il ministero dovrebbe poter cacciare chi non rispetta i parametri generali. Avere un modello centrale di controllo potrebbe essere utile e aiuterebbe un discorso autonomista».

Tra una settimana si vota in Lazio e Lombardia. La prima è guidata dalla sinistra e durante il Covid è stata posta sugli altari, la seconda è guidata dal centrodestra ed è stata messa sul banco degli accusati. Eppure gli ultimi sondaggi pubblicabili davano i lodati in svantaggio e i biasimati in vantaggio. Come se lo spiega?
«Non sono un politico.
La sola risposta che posso darle è che spesso viene data una falsa rappresentazione della realtà per influenzare strumentalmente l’elettorato.
Penso che gli italiani sappiano farsi i conti in tasca e capiscano quando le cose vanno bene e quando invece vanno cambiate».

Lei sul Covid alla fine ha vinto. Ha sfidato le critiche e riaperto tutto. Le è andata bene?
«Io sono prima di tutto un medico e non avrei mai preso decisioni che avrebbero potuto mettere a rischio la salute collettiva degli italiani. Tutte le decisioni che abbiamo preso al Ministero si sono basate su dati scientifici ed evidenze epidemiologiche».

Il suo predecessore e la sinistra l’hanno accusata di imprudenza...
«Nella precedente fase di lotta al Covid a volte l’ideologia ha avuto un ruolo troppo importante. Ho visto colleghi andare in tv per sostenere tesi politiche più che mediche, si è data la voce a persone che non avevano competenze specifiche».

Oggi ne paghiamo il prezzo?
«La cosa che mi preoccupa di più è il disagio psicologico seguito a due anni di lockdown, che hanno devastato soprattutto i ragazzi. A quell’età sei insicuro, il confronto con il mondo spaventa e se qualcuno ti dà l’occasione di chiuderti in casa, al riparo, ti nevrotizzi ulteriormente e poi per molti può diventare difficile riaprirsi al mondo».

Cosa pensa di fare?
«Bisogna intervenire subito con dei supporti psicologici, anche nelle scuole. La sanità e la salute mentale si imparano sui banchi. Dovremmo anche istituire un’ora di educazione all’alimentazione, molto più importante di certe battaglie ideologiche sentite nel passato». 

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