Dino Giarrusso resta fuori dal Pd: caos totale a sinistra
Porte chiuse a Dino Giarrusso. L’ex Iena ed europarlamentare del M5S non potrà, almeno per ora, iscriversi al Pd. Il tesserramento si è concluso martedì 31 gennaio e, come anticipato dal responsabile organizzativo, Stefano Vaccari, l’ex grillino non potrà avere la tessera dem, perché il regolamento lo vieta, facendo parte di un gruppo diverso dal Pd al Parlamento europeo. L’ultimo scivolone sulla via del congresso pare, quindi, archiviato. «Il Pd non è un taxi, che si prende e si lascia quando si preferisce. Questo vale per Dino, per Sauro e per tutti gli altri», ha detto a Un Giorno da Pecora, su Radio Uno, Dario Nardella. «Giarrusso deve esser coerente: ci ha infamato per non so quanti anni e ora improvvisamente cambia idea. Non è questione solo di chiedere scusa ma di abbracciare un’idea». Peraltro questa vicenda ha fatto litigare due stelle del cinema italiano, eredi dei protagonisti della commedia all’italiana, come Alessandro Gassmann e Ricky Tognazzi.
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Quest’ultimo, ieri, ha difeso l’ex grillino: «Conosco bene Dino Giarrusso è una gran brava persona, e quando una brava persona torna a sinistra - mentre molti purtroppo van via - io ne sono felice, altro che “non vi voto più”. E se Dino deve delle scuse a qualcuno, conoscendolo, son sicuro le porgerà». Risposta indiretta ad Alessandro Gassmann, che, in un tweet scritto alcuni giorni fa e diventato virale, aveva attaccato il Pd, dopo la notizia del possibile ingresso di Giarrusso: «Non vi voterò mai più. Adieux«, aveva scritto, accusando «un partito che continua ad essere riempito di individui che non sono richiesti e che nulla hanno a che fare con l’idea iniziale. Un continuo cavallo di Troia lontano dai problemi reali».
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Risolto il caso Giarrusso l’attenzione del Nazareno si è spostata sul risultato del tesseramento. Quanti saranno gli iscritti? Il dato ufficiale ancora non c’è. Ma ieri giravano stime drammatiche, intorno a 150mila. Se confermato sarebbe quasi la metà rispetto ai 320 mila del 2021 e un crollo se confrontato agli 800mila del 2008, quando nacque il Pd. «È un numero che non confermo e che a mio giudizio è sottostimato, molto sottostimato», ha frenato Vaccari all’Adnkronos. «È una cifra sparata che nessuno ha fatto circolare. L’unico soggetto che può fornire il dato è la commissione congresso e quando lo farà si vedrà che ci saranno sorprese».
Si è detto, quindi, fiducioso «perché coloro che sono già iscritti potranno rinnovare la tessera sino al giorno dei congressi di circolo». Si spera, in ogni caso, su una ripresa di partecipazione ai gazebo, quando si voterà per le primarie. Intanto tra i dirigenti dem, specie dalla parte di Bonaccini, c’è malumore per i numeri che arrivano dagli iscritti portati in dote da Articolo 1: quelli disposti a tornare nel Pd sarebbero tra gli 8 e i 9mila su 13.000 iscritti. «Abbiamo fatto tutto 'sto casino per avere solo 9mila iscritti in più?», si lamentava l’altro giorno un dem di lungo corso.
Intanto si spostano le ultime pedine del complicato organigramma dem. Andrea Orlando ha ufficializzato il sostegno a Elly Schlein, sia pure con parole non molto convinte: «Si è preferito prendere la strada delle primarie con il confronto tra i leader, ponendo tutta la questione sul rinnovamento. Allora se la domanda è chi rinnova di più mi sembra che la risposta sia abbastanza elementare. La Schlein mi sembra la proposta più nuova. Sostenendo la Schlein spero che vinca lei». Anche Vaccari, pur venendo dall’Emilia Romagna e dicendosi «amico di Stefano Bonaccini», si è schierato con Schlein: «Credo che oggi ci sia bisogno dell’energia e della forza di Elly Schlein». E così Nicola Zingaretti, che finora aveva evitato di pronunciarsi. Scelte che portano a un paradosso: tutto il vecchio gruppo dirigente sta con Schelin, paladina del rinnovamento. Possibile? «Sì, invece gli altri so’ pupi», ha risposto Zingaretti, ridendo, a una giornalista di LaPresse.