Eni-Nigeria, sui pm rinviati a giudizio la categoria fa finta di niente
Pare che la magistratura militante, quella perennemente accampata in televisione e prontissima alla requisitoria moraleggiante ogni qual volta si tratti di macchie che deturpano l’immagine della classe politica, dell’imprenditoria, delle professioni altrui, non abbia proprio nulla da dire quando una coppia di magistrati è rinviata a giudizio con l’accusa di aver taroccato le prove di un processo, anzi anche peggio, di avere sottratto al processo le prove che avrebbero destituito di fondamento l’accusa e arrecato elementi favorevoli alla difesa degli imputati. Di questo, infatti, sarebbero accusati Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro, che nel processo Eni Nigeria avrebbero inguattato un video capace di svelare una possibile macchinazione ai danni degli accusati. Sicuramente quella magistratura resta in silenzio perché ha il culto della presunzione di innocenza, che dunque applica con equanimità ai propri affiliati come notoriamente fa per gli indagati sprovvisti di toga.
Eni-Nigeria, i pm De Pasquale e Spadaro rinviati a giudizio: di cosa sono accusati
Tuttavia l’ipotesi che chi è dotato del potere di far imprigionare la gente sia lo stesso che costruisce l’accusa tenendo nel cassetto le prove dell’innocenza dovrebbe allarmare chiunque, specie quando i magistrati in questione non negano di aver negato al processo quei documenti ma argomentano invece che essi, a loro giudizio, sarebbero stati irrilevanti.
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E che un documento possa essere irrilevante può darsi benissimo: ma piacerebbe che ad accertarlo fosse il giudice che lo esamina, non il pubblico ministero che non glielo fa vedere. La magistratura televisiva, così oltranzista nella difesa delle pubbliche virtù quando spiega di poter alzare il dito contro le altrui malefatte senza attendere l’esito dei processi, evidentemente considera di nessun allarme l’ipotesi che dei cittadini siano accusati dalla discrezionalità giudiziaria che sfoglia il libro delle prove sottolineando quelle che fan comodo all’accusa e censurando le altre.