Stefano Bonaccini: "Pd sconnesso dalla realtà. Ecco chi gioca per la Meloni"
Il segretario uscente del Pd, Enrico Letta, ha denunciato una sorta di complotto ordito da M5S e dall'accoppiata Calenda-Renzi per ammazzare il Pd: lei cosa ne pensa?
«Penso che anche 5 Stelle e Terzo Polo hanno perso le elezioni, dimezzando i voti nel primo caso, avendone presi meno della metà del Pd nel secondo. Viceversa, si comportano come se le avessero vinte e, più che fare opposizione al governo della destra, attaccano il Pd. Un ottimo modo per far governare la Meloni i prossimi vent' anni. Io credo che si debbano contrastare misure sbagliate e insufficienti come quelle inserite nella Finanziaria, con le quali si è tolto a molti- i più fragili- per dare a pochi, avanzando proposte alternative e avviando insieme una battaglia, in Parlamento e nel Paese, sui problemi delle persone, a partire dalla difesa della sanità pubblica».
Il Pd alle Politiche è arrivato secondo. La scorsa volta era arrivato terzo con la Lega un solo punto dietro: perché tutti hanno letto il risultato come una disfatta?
«In questi anni, dopo l'esperienza disastrosa del Conte I, con la maggioranza M5S e Lega, abbiamo garantito la stabilità che serviva al Paese per affrontare crisi drammatiche, da quella economico-finanziaria internazionale alla pandemia, fino alla guerra scatenata dalla Russia di Putin in Ucraina. Questo ha voluto dire mettere al riparo la salute pubblica, i risparmi degli italiani e i conti pubblici, avviare una campagna vaccinale pubblica senza precedenti, ottenere dall'Europa i fondi per il più grande piano di investimenti pubblici della storia repubblicana, il PNRR. Ma, evidentemente, in questo sforzo il Pd ha perso il contatto con le persone e la realtà quotidiana. Nona caso, i soli ad averci guadagnato politicamente sono Fratelli d'Italia con Giorgia Meloni, che sono sempre stati all'opposizione. La posizione più comoda nella tempesta, che però ha pagato».
Anche per lei quindi l'analisi della sconfitta sostanzialmente è che avete governato troppo. Ma forse bisognerebbe dettagliare: avete governato a lungo portando pochi risultati e peggiorando le condizioni dei cittadini, dando l'idea di farlo più per voi stessi e il vostro ristretto circolo di referenti che per l'elettorato. Non trova?
«Troppe volte il Pd è stato al governo senza aver vinto le elezioni. Ora, cinque anni all'opposizione potranno farci bene. D'altro canto, chi per anni ha fatto solo opposizione come Meloni, ora invoca l'aiuto dell'Europa e predica prudenza e moderazione ai propri alleati. Evidentemente non era poi tutto così facile».
Il campo largo sognato da Letta è fallito. Da segretario lei lo archivierà per sempre o si sforzerà di dialogare con chi gioca la partita contro di voi?
«Io voglio ripartire dal Pd, le alleanze verranno dopo. Al Paese serve un'alternativa e non potrà mai avere come baricentro né M5S né una forza moderata come il Terzo polo. Serve, al contrario, un grande partito progressista e riformista, popolare e non populista, forte e da combattimento. E poi presenteremo un nuovo gruppo dirigente, che non nasce da correnti ormai morte, ma dal territorio, dagli amministratori locali, dalle competenze esterne ai partiti: è il momento di sparigliare per aprire un nuovo corso».
Aspirante kamikaze, sognatore o uomo della Provvidenza? Quel che è certo è che Stefano Bonaccini è in corsa per il ruolo più precario e ingrato della politica italiana, la direzione del Pd, un partito che predica inclusione ma pratica dicotomia, dove i suoi dirigenti sono persuasi di rappresentare ed essere gli unici depositari del bene, ragionamento che è antitetico rispetto all'ascolto. Per questo anche a questo giro i dem sembrano sul punto di dover affrontare l'ennesima divisione, tra i nostalgici dei Ds e i nostalgici della Margherita. Il che significherebbe certificare che la sinistra ha perso venticinque anni e che il solo collante, fin dai tempi di Prodi uno, è stato sbarrare la strada a Berlusconi prima, Salvini, Grillo e Meloni poi.
Presidente, le fasce più deboli della popolazione trovano una risposta alle loro richieste di giustizia sociale in M5S e non nel Pd. È perché siete diventati un partito demagogico e assistenzialista e siete stati superati a sinistra dai grillini?
«In Italia stanno aumentando disuguaglianze e distanze sociali e sta calando la produttività. Tendenza che va invertita. Perché per dare risposte ai più fragili e alle persone in difficoltà economica bisogna rafforzare la crescita e la capacità di ridistribuire la ricchezza in modo giusto. A partire dal lavoro, naturalmente. Servono politiche industriali e un solido sistema di formazione, investimenti pubblici e privati, e reti di protezione sociale più moderne: la destra anziché riformare il reddito di cittadinanza lo cancella per quasi 700mila persone, senza dar loro una valida alternativa. In compenso non pensa ad alcuna politica di crescita, immaginando che tutto possa risolversi con la flat tax. Come se la transizione ecologica e la trasformazione digitale avvenissero spontaneamente. Quanto ai grillini, va dato atto loro di aver saputo raccogliere e interpretare prima e meglio un forte bisogno di protezione. Il fatto che lo declinino in modo assistenzialista e populista è il loro limite, ma il problema non lo si risolve certo cancellando gli ammortizzatori per i deboli, anzi».
La globalizzazione è stata un falso mito della sinistra occidentale che ha aiutato il terzo mondo ma ha danneggiato noi?
«Come tutte le visioni ideologiche, anche quella della globalizzazione ha semplificato e tralasciato dettagli. Purtroppo, tra i dettagli c'era la condizione materiale dei ceti medi dell'Occidente. Un peccato capitale per la sinistra: immaginare che l'economia potesse risolvere i problemi al posto della politica è la negazione stessa della democrazia, non lo teorizza più neppure la destra. Evitiamo però di commettere l'errore opposto, come fanno i sovranisti: l'Italia è il solo Paese o quasi fra quelli più industrializzati che anche quest' anno aumenta la propria quota di export, grazie a prodotti di eccellenza, imprese che puntano sulla qualità, lavoratori e professionalità uniche. Mi auguro che nessuno voglia tornare ad alzare barriere o a ricette autarchiche che danneggerebbero imprese e lavoro nel nostro Paese. La globalizzazione non è la panacea di tutti i mali, ma il sovranismo danneggia l'Italia. E non solo in economia: anche quando discutiamo di immigrazione, energia, o inflazione, la ricetta della destra non funziona. Meloni lo sta toccando con mano».
La religione ambientalista, pur fondandosi su principi giusti e necessari, viene abbracciata dalla sinistra troppo acriticamente, senza che ci si preoccupi delle conseguenze sociali, specie sui poveri?
«La salvaguardia dell'ambiente non è più una scelta, ma un obbligo. A rischio c'è il solo bene di cui non possiamo fare a meno: la Terra. Il problema è, come sempre, governare i processi, accompagnare il cambiamento, renderlo equo e sostenibile. La destra nega il problema, il nostro problema è al contrario rendere sostenibili e democratiche le soluzioni. Perché nessun cambiamento rilevante è mai neutro in sé: si tratta sempre di stabilire chi paga il prezzo. E il nostro compito è fare in modo che non lo paghi tutto chi lavora e chi crea lavoro. Anzi, fare in modo che la transizione generi nuovo lavoro e impresa».
Istruzione, giustizia, tasse esose, burocrazia: quattro ricette per le piaghe del Paese?
«Voglio essere molto chiaro: grande piano nazionale di investimenti nella scuola, per alzare gli stipendi dei docenti a livello dei colleghi europei, adeguare l'edilizia scolastica e la tecnologia coi nuovi strumenti per la didattica, formazione permanente durante tutta la vita lavorativa. Giustizia: riduzione dei tempi e certezza della durata dei processi, altrimenti non c'è giustizia né garanzia per imputati e vittime. Fisco: lotta all'evasione fiscale, zero condoni, zero burocrazia. È proprio a partire dal fisco che occorre costruire un rapporto più collaborativo e amichevole tra cittadini e Stato. La destra boicotta la modernizzazione, ma è con strumenti come Spid e Fascicolo sanitario elettronico, durante la pandemia, che la pubblica amministrazione è stata vista come più moderna e adeguata ai bisogni delle persone».
Lei andava d'accordo con Renzi: è un merito o una colpa, visto che per il Pd Renzi è un diavolo che ha usato i dem un po' come un tram per arrivare a Palazzo Chigi?
«Parlano i fatti: le scelte di Renzi sono l'esatto opposto delle mie. Lui ha lasciato il Pd per fondare quello che a oggi è un piccolo partito moderato, io sono una persona di sinistra, sono sempre rimasto nel mio partito e mi candido per farlo più grande e più forte».
Lo schema dichiarato è il seguente: far fare al Pd la fine dei socialisti francesi, con Conte nei panni di Melenchon e Calenda in quelli di Macron. Secondo me non funzionerà, ma mi spiega lei perché?
«Calenda, Renzi, Conte stanno legittimamente portando avanti le proprie ragioni. Io, insieme a tante e tanti, ho uno schema alternativo: un Pd che torna a fare il Pd, un partito a forte vocazione maggioritaria come perno di un nuovo centrosinistra in grado di battere la destra alle urne».
Volete inserire la dizione "lavoratori" nel prossimo nome che vi darete: ma è lungimirante, visto che i lavoratori dei ceti medio bassi, dipendenti pubblici a parte, sono proprio quelli che non vi votano?
«Più del nome bisogna guardare alla sostanza. Noi siamo una forza laburista, che dà al lavoro e ai lavori una funzione di cittadinanza e democratica, come scritto nella nostra Costituzione. E parliamo di lavori perché siamo nel 2022, non nel 1970: vogliamo quindi rappresentare il lavoro dipendente e autonomo, contrastare la precarietà che colpisce soprattutto i giovani e il part time involontario che coinvolge anzitutto le donne. E lo ripeto: l'impresa, quando è seria e sana, per noi ha un valore sociale, perché crea lavoro. Non si possono mettere sullo stesso piano i grandi fondi finanziari e le nostre imprese che investono in innovazione, ricerca, occupazione, sostenibilità ambientale, qualità del lavoro come sento fare da qualcuno».
La sinistra, specie quella americana, è accusata, con la sua ideologia moralista e giudicante, di favorire il declino della civiltà occidentale. Ma le altre civiltà non restano al momento ancora peggiori rispetto alla nostra?
«Peggiori, migliori... Non mi pare il modo di affrontare il problema. L'Europa è un patrimonio di valori e diritti: è giusto che li difenda sia da chi prova a demolirli dall'interno, penso a Orban, sia da chi prova a demolirli dall'esterno come Putin. Se mi permette, la contraddizione è quasi tutta a destra. Dico quasi perché anche a sinistra c'è qualche anima persa, ma fa più rumore che volume».
In Usa la stretta di Trump e Biden all'immigrazione ha aumentato i salari: non è che sulla politica migratoria state sbagliando qualcosa?
«Veramente questo è un discorso tabù per la destra italiana, che agita il tema dell'immigrazione solo per fini elettorali e non ha il coraggio di dire che in molti comparti produttivi italiani manca manodopera, dalla ristorazione all'agroalimentare, dalla meccanica ai servizi, fino all'assistenza e cura delle persone, pensiamo alle badanti presenti in tantissime famiglie. E che per questo servirebbe una seria politica migratoria con un accesso gestito e regolato di chi arriva nel nostro Paese. Non se ne può più di trattare tutto come fosse un'emergenza».
Da Panzeri a Soumahoro, per non dimenticare Buzzi: cosa non funziona nelle Ong e perché basta la parola perché il Pd le assolva?
«Il problema non sono le Ong, ma chi calpesta le leggi, chi corrompe e si fa corrompere. E il Pd non assolve nessuno: nell'inchiesta Qatargate si costituirà parte lesa e io per primo ho parlato di questione morale come della priorità che deve accompagnare il congresso e la fase costituente del partito. Non ci può essere spazio nel Pd per chi pensa di intascare mazzette o prendere valigie di denaro per favorire interessi di parte, gruppi privati o Stati stranieri. Così come per chi non fa dell'onestà e della sobrietà i cardini della propria azione politica. Mi piacerebbe che anche la destra avesse la stessa nettezza e lo stesso rigore».
Perché si iscrisse al Pci da ragazzo?
«Sono nato in un piccolo comune nel modenese, Campogalliano, da un padre camionista e una madre casalinga e operaia, iscritti al Pci e con Enrico Berlinguer come figura di riferimento. Valori e comportamenti che sono diventati parte di me. Vivo ancora lì e sono rimasto la stessa persona».
Ma quanti veri e pericolosi fascisti ha conosciuto nella sua lunga militanza politica?
«Vengo da una terra che ha pagato un prezzo altissimo in vite umane al fascismo e al nazifascismo prima e nella Resistenza e nella lotta partigiana poi, non è un discorso sul quale fare battute o da affrontare con leggerezza. Qualunque manifestazione, segnale, gesto, parola neghi ciò che è successo e punti a riscrivere la storia per rilanciare idee aberranti va contrastata ogni giorno. Ciò detto, io non sono uno che si cerca o si crea i nemici: in politica ho avversari da battere, non nemici da abbattere, e mediamente riesco ad avere un rapporto costruttivo con tutti, anche a destra».
Un pregio della Meloni?
«La determinazione. Una tenacia che le ha permesso di arrivare a governare il Paese partendo da un partito del 2-3%, oggi oltre il 25%».