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Vittorio Feltri, rivelazione tombale: "Perché il Pd crolla nei sondaggi"

Vittorio Feltri
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Il Partito democratico crolla nei sondaggi, scivola costantemente in basso di elezione in elezione. Questa deriva è stata occultata in passato dalla fenomenale capacità della sua dirigenza di abbarbicarsi al potere anche quando i voti gliene negherebbero l'accesso. Dopo di che, se occupi posti di governo e sottogoverno, inevitabilmente ti restano attaccati i consensi della clientela e tiri avanti. Stavolta il giochino - in passato ordito con la complicità del Quirinale, dove maestro insuperabile del girare le frittate è stato Giorgio Napolitano - è risultato impraticabile. Troppo netto il distacco tra i voti ottenuti dal centro-destra e quelli presi dalla sinistra (Pd+Verdi+Bonino+ex Rifondazione).

 

 

 

La mia diagnosi è semplice. La sinistra ha perso perché ha perso la cultura per strada. Non ne ha più. Erudita lo sarà pure, ma le si è sfondata l'architrave su cui si reggeva. È un po' il colmo, ma tant'è. Antonio Gramsci, fondatore del comunismo italiano, aveva eletto proprio la cultura a piedistallo per la conquista della cuccagna. Aveva elaborato una strategia per consentire al Pci di raccogliere a suo tempo i frutti che sarebbero cascati a catinelle nel suo bigoncio scuotendo l'albero dell'«egemonia culturale». Il Nuovo Principe Comunista, più astuto del Vecchio Principe di Machiavelli (il duca Valentino fallì sciaguratamente a causa di una diarrea), avrebbe occupato le casematte della cultura: case editrici, cattedre universitarie, direzione e redazioni dei mass media, centri studi, istituti di formazione per i magistrati. Risultato? Ci sono riusciti. Ma per portare l'Italia dove?

 

 

 

 

Nelle cantine del mondo. Era sorto infatti un piccolo problema nel frattempo. Il cuore di quella cultura coincideva con la bandiera rossa, una volta ammainata sul Cremlino come poteva reggere alle tempeste della storia un suo simulacro? Anzi, più prosaicamente, come non perdere la faccia? Dapprima i vari esponenti del pensiero ormai post-comunista hanno rivendicato la "diversità" del Pci. Inutilmente. I luoghi dove esercitare l'egemonia culturale - le famose casematte- restavano di loro proprietà. Ma i compagni li hanno trasformati in loculi, camere ardenti di valori mummificati e sogni morti. Va be', andava scaricata l'ideologia marxista-leninista, ma una volta provveduto a svuotare la cambusa ricolma di prodotti rancidi, invendibili, persino disgustosi, bisognava riqualificare la credenza, qualcosa in rima con i vecchi arnesi del consenso. Insomma, cercare sul mercato qualche cioccolatino per smerciarlo al popolo bue.

 

 

 

 

Ci hanno provato. Hanno sbagliato grossista. Hanno importato dall'America l'ideologia del politicamente corretto, la difesa dei diritti individuali di omosessuali e affini. Si sono occupati delle minoranze straniere e clandestine, accontentandosi di depositare i disgraziati nelle periferie come feccia urbana, e magari lucrandoci sopra con le cooperative di accoglienza. Il tutto dimenticando la maggioranza degli italiani, che si sono sentiti trattati come superflui dal Pd non essendo né LGBTQ+ né presunti profughi. Il Re dunque (e non parlo di Enrico Letta, poveretto) è nudo, ed appare per quello che è davvero: un apparato senza cultura, una congrega che non sa trasmettere al popolo nulla che somigli a un'idea di futuro da vagheggiare ai nipoti. Come ha detto di recente Massimo D'Alema, che non ha mai rinnegato il comunismo, un uomo e una donna, quelli con cui prendi l'ascensore, o sali in tram, non votano un programma, non sanno neppure che cosa contenga né gli importa. Appoggiano, anzi si riconoscono in chi porta con sé un'idea affascinante dell'Italia e di che cosa sia il bene di oggi e di domani per la propria nazione e persino per quelle degli altri.


Luca Ricolfi ha spiegato nel suo ultimo libro («La mutazione», Rizzoli), che la destra si è portata in casa i pargoli che la sinistra maltrattava: la difesa dei deboli, la libertà di pensiero, la promozione del merito, sulla scia dell'articolo 34 della Costituzione che indica la strada per una vera uguaglianza premiando «capaci e meritevoli». Ed è credibile questa destra perché si vede che ci crede. Questi valori non sono scritti sulla cartavelina ma nel volto e nella storia di chi - come Giorgia Meloni si farebbe ammazzare per non rinnegarli. La sinistra se vuole essere utile rendendo meno scontato il gioco democratico, ma anzitutto sopravvivere, deve rapire alla destra un po' dell'essenza che profuma di bucato la politica: il senso di appartenenza, l'uno-per-tutti-tutti-per-uno. Con una missione da compiere. Roba così insomma. Altro che agitare stupidamente sotto il naso della Meloni il fantoccio di un antifascismo recuperato dal museo delle cere. Anche questo è espressione della cirrosi culturale che sta liquefacendo il Partito democratico. Impari piuttosto da Fratelli d'Italia e alleati a riproporre il senso di appartenenza. Chiunque succederà a Letta dovrebbe lavorare a ricostruire delle comunità politiche, con un orizzonte ideale, un bouquet di pensieri fascinosi. Ma ci vorrebbe una cultura idonea. Dovrebbe comprarla dalla destra. 


 

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