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Pd e sondaggi, "entro Pasqua sotto il 10%": indiscrezioni clamorose

Pietro Senaldi
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Ancora più grave della questione morale, che lo ha atterrito, il Pd ha una questione di morale, direbbe Matteo Renzi, l'ultimo segretario vincente del partito. Ce l'hanno tutti a terra, e la cosa è evidente al punto da aver contagiato l'elettorato. Schiacciati tra l'alleanza tra Azione e Italia Viva e i Cinquestelle resuscitati da Conte, i democratici hanno una gran paura di finire come i socialisti francesi, nei libri di storia alla voce civiltà scomparse. Avanti così è la classica profezia che potrebbe auto-avverarsi.

Marco Minniti, uno che l'ha sempre saputa lunga in tema di progressisti, ma che i geni del Nazareno non hanno voluto come segretario perché non era gradito alle ong e alle associazioni umanitarie, è sempre stato convinto che il partito potesse contare su un 15% di zoccolo duro sotto il quale non sarebbe mai andato. Ieri è stato smentito. L'ultima rilevazione svolta per La7 da Swg, istituto molto pendente a sinistra, dà per la prima volta il Pd sotto il 15%, all'1,7%, in calo dello 0,4. Dato ancora più grave, il calo non è compensato da una crescita di Renzi e Calenda, fermi al 7,8% (-0,2) e neppure dei grillini, sempre gravitanti intorno al 17,4% (+0,3). Il che significa che i dem ormai vengono bocciati senza neppure considerare alternative, per disaffezione pura. Sarebbe fin troppo facile dare tutta la colpa allo scandalo Panzeri, alla lezione di Berlinguer perduta con la cosiddetta superiorità morale o a Enrico Letta. Certo, un segretario sconfitto è come il pesce, puzza dopo tre giorni, mentre l'Enrico sbagliato è tre mesi che ancora occupa la scena in modo insulso e deleterio, ma lui è solo l'immagine dell'immanenza che paralizza il partito.

 

 

Entro Pasqua, probabilmente prima di scendere sotto il 10%, i democratici dovrebbero celebrare il loro congresso, dopo sei mesi di dibattito giustamente trascurato da tutti i riflettori. Pare ci siano 85 saggi al lavoro per costruire un'anima nuova di zecca alla sinistra. Per ora si sa che tra le soluzioni per rinascere è tenuta in grande considerazione la conversione all'ordo-liberismo, un modo da apparato per ridare una tintura di bianco alla solita idea dell'economia sociale di mercato, la terza via che la sinistra nostrana non è mai riuscita a prendere, neppure ora che le altre sinistre occidentali sono già alla sesta o settima strada. All'indomani della sconfitta, la classe dirigente del partito aveva attribuito il disastro al fatto di essere stati troppo a lungo al governo senza un mandato pieno degli elettori, quasi fosse una fatalità e non una precisa scelta di potere, tant' è che hanno ribattezzato "responsabilità" il loro desiderio di occupare le poltrone. Anche in quel caso l'autoanalisi peccava di generosità. Il problema pressione di farlo più per se stesso, la propria classe dirigente e il proprio ristretto cerchio di riferimento, molto intellettuale e poco imprenditoriale, che per l'elettorato. Non a caso chi votava Pd ora trova in M5S, o anche in Fdi, la risposta alle proprie domande di giustizia sociale oppure in Calenda e Renzi la rappresentanza di un desiderio di guida moderato e moderno.
 

 

 

UNA POLTRONA PER DUE

Sotto a chi tocca, adesso pare che la sfida per occupare la poltrona più precaria della politica italiana sia soprattutto tra Stefano Bonaccini ed Elly Schlein, rispettivamente presidente e vicepresidente dell'Emilia Romagna. Il primo ha un profilo pratico, da vecchio comunistone furbo e di mondo, capace di nascondere benissimo il fatto di esserlo. La seconda è un concentrato di tutte le ideologie, da quella gender a quella dell'accoglienza, dal fideismo verde a quello politico, che prevede di includere chi ti vuole ammazzare. La signora ha preso la tessera due settimane fa e i democratici di lunga militanza sostengono che sia la via più breve all'eutanasia del partito, ma è sponsorizzata da Franceschini, Bettini e dai salotti romani, quindi può farcela. Quanto a Bonaccini, ha il grande difetto di essere andato d'accordo con Renzi, che è considerato come quello che ha reso il partito prima cornuto e poi mazziato, e questa è una colpa che non si lava facilmente. Ha con sé i territori, e a sinistra questo ancora qualcosa dovrebbe contare, ma il punto è che, anche se vincesse, non ha nessuna ricetta nuova da proporre, come del resto la sua rivale. Certo, quando piove, lo fa sempre sul bagnato. Il Pd si faceva vanto di essere il partito europeista per eccellenza, e lo scandalo dell'ex europarlamentare piddino Panzeri ha travolto la credibilità dell'Unione. Poi si è fatto portatore delle istanze di Draghi, sostenendo che, in caso fosse andato al governo il centrodestra, lo spread sarebbe crollato. La realtà però è che l'ex premier non si è mai fatto mettere la mantella addosso dai dem, come invece ha fatto Messi con gli emiri del Qatar, e che l'erede del governatore alla Bce, la signora Lagarde, sta facendo più danni all'economia occidentale di quanto non ne avrebbe mai potuto fare nessun leader sovranista. Forse la risposta a questo declino che pare difficilmente reversibile sta nella crudezza. Per restare in sella i dirigenti dem hanno svenduto la ditta e qualcosa d'altro - un pezzo alla volta e ora si sono trovati con una mano davanti e una dietro, incapaci di coprire del tutto le proprie oscenità. Hanno inseguito le mode, cavalcando globalizzazione, accoglienza indiscriminata, diritti civili, ecologismo senza neppure preoccuparsi di cosa fossero in realtà e degli effetti che le loro scelte producevano sulla società fin dal giorno dopo. Una stampa e un potere economico compiacenti gli hanno tenuto bordone, svuotandone l'anima, ma ora che non c'è rimasto più nulla e il Pd non é più in grado di essere un partito di sistema, fornendole garanzie del caso, si è persa la ragione sociale del tutto. Pare che si voglia ricominciare inserendo la parola "lavoratori" nel nuovo nome, l'ennesimo, del partito. Altra scelta singolare, visto che il ceto medio-basso di chi si spacca la schiena è proprio quello che non vota più Pd.

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