Pd, i richiami a Berlinguer? Moralismo e affari, radici progressiste
Si moltiplicano, specie nel Pd, i richiami al Berlinguer della questione morale, quasi fosse un guru miracoloso per recuperare la verginità perduta. Le cose non stanno proprio così. In primo luogo, Berlinguer ha espresso una visione così estremista e radicale della questione morale che successivamente essa è stata uno dei propellenti per l'azione di alcune procure, in primo luogo quella di Milano, poi di alcuni giornali (vedi Il Fatto), e infine dal M5S, antipolitico e antipartitico.
Ma quel moralismo era fondato anche allora su una incredibile mistificazione, nel senso che rileggendo i testi berlingueriani del '74, del '76 e specialmente la famosa intervista a Scalfari del 1981, si può ben dire "fabula narratur", nel senso che gran parte delle violazioni dell'etica e della gestione partitocratica del potere, compresa la conquista sostanziale del Corsera, possono essere messe in conto anche al Pci. Che aveva un finanziamento irregolare più ampio degli altri partiti, dai fondi provenienti dal Pcus alle società di import-export, alle coop rosse con la rete di aziende private collegate.
Il Pd è stato portato alle sue conseguenze estreme: le presidenze delle fondazioni, dei teatri, dei musei e di quello che resta delle imprese pubbliche costituiscono una sorta di pensionato di lusso per i quadri medio-alti del partito che escono dal Parlamento e dall'impegno politico diretto. Su quel terreno non oggi, stando a una sua recente intervista, D'Alema ha cambiato attività facendo il "consulente", ma nel 1999, quando era premier diede vita a quella che l'avvocato Guido Rossi chiamò l'unico caso di merchant bank che non parla inglese e che propiziò la scalata dell'Unipol nei confronti della Bnl, e sostenne la scalata dei "capitani coraggiosi" nei confronti della Telecom. L'intreccio fra moralismo e affarismo ha un retroterra storico preciso che risale all'incredibile contraddittorietà e mistificazione insita nell'estremismo moralistico di Enrico Berlinguer.
Dopo il 1989 e il crollo del comunismo in Urss e nell'Est europeo, all'interno del Pci-Pds furono avanzate due proposte strategiche di opposto segno: i miglioristi proposero un grande partito riformista e socialdemocratico fondato sulla confluenza del Pci e del Psi; Ingrao e Tortorella invece un partito "comunista democratico" per superare da sinistra la crisi del comunismo reale. I ragazzi di Berlinguer (Occhetto, D'Alema e Veltroni) scartarono entrambe le ipotesi e collocarono il nuovo partito su una linea giustizialista e di totale subalternità ai grandi gruppi finanziari-editoriali. Questa scelta è la ragione di fondo della crisi attuale il cui esito nessuno può prevedere.