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Roma, polvere sotto al tappeto e tasche piene: il solito andazzo

Iuri Maria Prado
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Non ricordo chi ha detto che per risolvere il problema delle buche a Roma bisognerebbe licenziare diecimila persone. È certo che per far funzionare ciò che non funziona in quella città, cioè praticamente nulla, e per cambiare ciò che va cambiato, cioè praticamente tutto, quello sfoltimento non sarebbe nemmeno lontanamente abbastanza. Si sa, è così, è sempre stato così, forse sarà sempre così, si sopporta, e buonanotte.

Ma che un andazzo di devastante disservizio, una plaga di mostruosa inefficienza, una giungla di malgoverno in cui tutto è in derelizione, insomma che un simile sfascio amministrativo, urbano, civile sia impacchettato in una relazione che lo rivolta in perfezione meritevole di encomio e di premi, ecco, questo forse è troppo anche per una città che credevamo ci avesse abituato a tutto.

 

Giudicando il proprio operato, infatti, il Comune di Roma non solo si è assegnato un voto che dire indulgente è poco (9 su 10, ché manco Merano), ma ha pure pensato bene di distribuire congrui riconoscimenti ai dirigenti e ai dipendenti il cui lavoro ha garantito il raggiungimento dei risultati che quotidianamente registra chiunque abbia la disgrazia di vivere o anche solo passare di sfuggita a Monnezza Land, alias Cinghialopoli: un mezzo inferno che la "relazione sulle performance" dei dipendenti trasfigura a fin di bonus in piccolo paradiso dove tutto gira alla perfezione. Sì, perché la pagella compilata dal concorrente che si fa lo scrutinio per conto suo ha questo di bello, in più: che il voto alto non serve solo a nascondere il profitto da asino, ma pure a pijasse li sordi.

 

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