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Carlo Calenda? Sulla questione morale anche lui è smemorato...

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Corrado Ocone
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Era il 28 luglio 1981 quando su La Repubblica uscì la storica intervista concessa da Enrico Berlinguer a Eugenio Scalfari sulla "questione morale". Era un veemente j' accuse ai partiti italiani che erano diventati «soprattutto macchine di potere e di clientela». I partiti si presentavano a Berlinguer come «macchine di potere che si muovono solo quando è in gioco il potere», cioè la «gestione degli interessi». Tutti tranne uno: quel partito comunista di cui era segretario, che nel corso della sua storia si era distinto per l'integerrima moralità di dirigenti e militanti.
Fu da quell'intervista che probabilmente nacque il mito della diversità della sinistra, la quale veniva spostata dal terreno politico, come era stato fino ad allora, a quello morale.

Ciò permetteva di proporre una politica di moralizzazione e non di alternativa politica, essendo essa praticamente impossibile in quanto gli ideali socialisti di superamento del sistema politico erano miseramente falliti e non più spendibili. Scalfari non poteva che gongolare soddisfatto nell'ascoltare le parole del leader comunista: era quella, per lui figlio del partito d'Azione, la linea giusta, la base ideale su cui era nato il suo giornale.

 

DAL POOL AI 5 STELLE
Il quale, da quel momento, da voce di una minoranza intellettuale e colta può trasformarsi in organo di riferimento di quel "partito radicale di massa" previsto proprio in quegli anni da Augusto Del Noce.

Ma era da quell'intervista che probabilmente nasceva anche il populismo italiano, quello che avrebbe un decennio dopo eretto ad eroi i magistrati del pool di Milano e sarebbe poi giunto, per i rami, fino al giustizialismo anticasta dei grillini di oggi. Spostare il discorso politico su quello morale ha fatto sì che non si facesse i conti con la propria storia, e cioè con quel fallimento di cui si è detto: non si è elaborata una politica alternativa se non sostituendo con vaghi surrogati (ad esempio: la società sostenibile) quella fede nel futuro comunista che era stata la ragion d'essere del proprio impegno politico.

Venuta meno la tensione politica, quest' ultima, per un solo apparente paradosso, si è trasformata proprio e solo in quella "occupazione del potere per il potere" che Berlinguer aveva imputato agli avversari. Ha ragione perciò Carlo Calenda quando a sua volta imputa, come ha fatto ieri, al moralismo e all'antifascismo la causa ultima di quella degenerazione affaristica che in questi giorni sta venendo clamorosamente e pienamente in luce.

 

VALORI PERSI
Dimentica però Calenda che è proprio la cultura azionista, a cui egli ha fatto riferimento nel suo libro, la causa ultima della torsione moralistica che ha contagiato i vecchi comunisti. Recuperare il valore perso della politica deve seguire tutte altre vie, come ben sapevano i padri del conservatorismo e del realismo politico di cui pure la nostra tradizione intellettuale abbonda. Ma chi avrà la forza e il peso di dimenticare Berlinguer?

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