Enrico Letta, terremoto-Pd: "Non si lavora così", chi scarica il segretario
De Giovanni se n'è ghiuto e soli li ha lasciati. Gran peccato per Enrico Letta e il suo Pd, perché era uno dei fiori all'occhiello del "comitato costituente" di 87 persone voluto dal segretario Enrico Letta e incaricato, come spiegano i comunicati del Nazareno, di «contribuire alla elaborazione del Manifesto dei valori e dei principi, cuore del percorso costituente che porterà alla nascita del Nuovo Pd».
Il sito del Partito democratico presenta Maurizio De Giovanni come «scrittore, sceneggiatore, drammaturgo; membro del "Comitato scientifico per la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio linguistico napoletano" istituito dal Consiglio regionale della Campania», ed è persino riduttivo. Stiamo parlando del padre del commissario Ricciardi e dei Bastardi di Pizzofalcone, che hanno affascinato lettori di ogni fede politica e sono diventati serie televisive di successo. Il suo ultimo libro, Caminito, ha protagonista il commissario che vede i morti (nessun riferimento allegorico al Pd, è ambientato nel 1939), è uscito da pochi giorni e si avvia ad essere un best seller natalizio.
Insomma, uno degli ultimi esponenti di quella società civile capace di mettere insieme l'alto e il basso, che scrive storie belle e non presuntuose (per questo stravendono) e aiuta i ragazzi dell'istituto penale di Nisida. E proprio perché è di sinistra e sa immergersi nei dolori della vita, aveva accettato, tre settimane fa, di entrare nel "comitatone" voluto da Letta e Roberto Speranza.
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Ne parlava tutto contento. «Non converrebbe mai schierarsi in questo momento, almeno per uno mainstream come me. Invece sono qui a dare una mano», spiegava al Corriere del Mezzogiorno (intervista corredata da foto col Vesuvio sullo sfondo, perché De Giovanni non ha paura degli stereotipi meridionalisti, ma li indossa con orgoglio). Raccontava di essere stato «teneramente coinvolto» da Roberto Speranza, «che è un mio amico e di cui conosco l'assoluta pulizia e il rigore».
L'intervistatrice, meno teneramente coinvolta di lui, gli faceva presente che ottantasette persone non sono proprio poche. E lui, con l'entusiasmo e il cuore di un bimbo (De Giovanni è così, raccontano i suoi amici), le rispondeva che era «meglio», perché «questo gruppo deve identificare il perimetro, dopo le numerose pezze che si sono messe dagli anni '90 in poi per raccattare il centro o pezzi di sinistra, per combattere Berlusconi e le destre». E dunque la difesa della Costituzione, la coesione del Paese, gli immigrati e persino la suggestione di fare di più e magari, chissà, un giorno di candidarsi, perché «non si può appaltare ad altri il proprio destino».
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Bello bello, insomma. È durato ventuno giorni. Anzi, un po' di meno. Già il 12 dicembre, nell'auditorium dell'Ara Pacis a Roma, presentando il libro della sua amica Paola De Micheli, candidata alla segreteria del partito, De Giovanni si era definito «un elettore di sinistra disgustato» dal «piano inclinato» preso dal Pd. Diceva che «per la prima volta in maniera netta i ricchi hanno votato a sinistra e i poveri a destra» e lamentava che quello che una volta era il partito dei lavoratori fosse diventato «il partito dell'apparato, dell'establishment». C'era di più, e lo ha scritto in una lettera privata al segretario del Pd. Nessun acredine, assicura chi l'ha letta. Ma lì, riporta il Corriere del Mezzogiorno, lo scrittore napoletano ha fatto presente che «il metodo, i termini e le modalità di lavoro» di quel comitato non sono «congrui con l'esigenza di concretezza e urgenza di questi tempi disgraziati». Così se n'è andato. Anche in un entusiasta come lui, col suo cuore da guaglione e l'immagine di Santa Maradona in tasca, il pessimismo della ragione ha avuto la meglio sull'ottimismo della volontà. Gli è bastato guardare il Pd un po' più da vicino, toccarlo con mano.