Ignazio La Russa, la rivelazione: "Tutto iniziato con un no a Cav e Monti"
Il "buongiorno" della tre giorni di compleanno di Fratelli d'Italia si vede dal mattino: per la supermedia di Youtrend, che mette a sistema tutte le rilevazioni delle ultime due settimane, il partito di via della Scrofa supera la soglia del 30%. Ulteriore iniezione di fiducia, dopo la promozione della prima manovra targata Meloni da parte della Commissione Ue. Non che ne manchi, di fiducia, tra il tendone degli incontri e il "villaggio di Natale" installati in Piazza del popolo: tutt' altro. Qui l'umore per "Dieci anni di amore per l'Italia", la prima kermesse di piazza, dopo lo storico exploit del 25 settembre, è altissimo: tutti gli eventi della prima giornata sono andati sold-out, i parlamentari di destra fanno fatica a stringere tutte le mani dei simpatizzanti e ancor più a rispondere alla domanda più sentita: «Chi candidiamo nel Lazio?».
SENZA LIMITI - La risposta, assicura dal palco il coordinatore Paolo Trancassini (fra i papabili) arriverà a breve. Magari dal premier stesso nell'atteso intervento di chiusura di domani: chissà. «Una cosa è certa - spiega il coordinatore regionale - : noi le elezioni le vinciamo. Metteremo in campo la migliore squadra possibile». Se l'entusiasmo per questo decennale, coronato con la clamorosa conquista di Palazzo Chigi, è alto, lo stato d'animo di Ignazio La Russa è quello di chi ha avuto un ruolo importante nel costruire questa storia di partito e di governo. «Non quindici anni fa ma neanche quindici mesi fa avrei pensato di fare il presidente del Senato», ha ammesso, «ma certo non ci ponevamo limiti al successo delle nostre idee: sulle nostre gambe, su quelle dei nostri figlio dei figli dei nostri figli».
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Per lui quella di ieri è stata la prima apparizione pubblica a una festa di partito dopo l'elezione a presidente del Senato: la più alta carica istituzionale ricoperta da un "missino".
Ignazio è felice di riabbracciare la sua gente «come quelli che hanno fatto una breve vacanza e tornano a casa», confessa nell'intervista sul palco affidata a Bruno Vespa. L'occasione del decennale e di un co-fondatore di Fratelli d'Italia è troppo ghiotta per il conduttore di Porta a Porta per non chiedere lumi sulle aspettative che diedero il via allo strappo con Silvio Berlusconi. Andare così in là era nelle premesse? «Dieci anni fa non ci ponevamo limiti al successo di quella scelta: i tempi potevano essere indefiniti, magari non sarebbe bastata la mia esistenza, ma che le nostre idee avrebbero trionfato ne ero certo».
Certo, non sono mancate le difficoltà. A partire dalla genesi iniziata quando Meloni, Crosetto e appunto La Russa pensavano già di stare stretti nel Pdl. La scintilla, ricorda, «fu l'insoddisfazione di appoggiare un governo tecnico (Monti, ndr)». E poi quando Berlusconi decise di non fare le primarie, «decidemmo da lì a pochi giorni di fare un percorso unico». Fu una separazione consensuale: «La prima senza litigare». Quanto alla leadership da lanciare, per un partito chiamato in primo luogo a salvare la destra dalla frantumazione, il percorso era chiaro: «Che Giorgia dimostrasse già di avere una marcia in più di tutti gli altri si capiva già quando vinse la segretaria giovanile del partito».
È un ruolo, insomma, che si è conquistata autonomamente, e non per iniziativa della vecchia guardia. «Il nostro leader dalla prima campagna elettorale, e lo dimostrano i manifesti di allora, era Giorgia Meloni. E se ho un merito è di averlo capito e di non aver pensato che toccasse a me, come fanno quelli più grandi con i giovani».
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NON SONO UN SEMAFORO - L'intervista di Vespa è stata anche occasione per parlare della politica del governo. Un ambito sul quale l'abito della presidenza del Senato, per La Russa, non corrisponde a una camicia di forza: «Se avessero voluto un presidente con il compito solo di dirigere l'Aula potevano mettere un semaforo», ha tagliato corto parafrasando Clint Eastwood. «Io non sono un semaforo, dirigerò l'Aula, dando magari un po' più ragione all'opposizione che alla maggioranza, ma fuori dai luoghi istituzionali mi riservo di continuare ad esprimere le mie idee». Ad esempio sulle riforme istituzionali: «Meloni confida entro la fine di questa legislatura di poter dare al popolo italiano molto più potere su chi ha le sorti del Paese in mano». Fra i vari modelli per eleggere direttamente il capo dell'esecutivo, «io personalmente preferisco il semipresidenzialismo alla francese». Spazio, infine, per il dibattito sulla difesa: tema caro all'ex ministro. «C'è chi vorrebbe la leva obbligatoria, gli ho detto "levatevelo dalla testa"», ha premesso. Detto ciò, venendo incontro invece alla richiesta del corpo degli alpini, ben venga la possibilità della mini-naja, rivolta a chi «volontariamente vuole trascorrere una parte delle proprie vacanze dentro le forze armate, al fianco degli uomini e delle donne con le stellette: cosa c'è di male?».