Valditara rivoluziona il sussidio grillino: "Serve una scuola di cittadinanza"
Maledetto Sessantotto. I mali della scuola italiana nascono anche lì, se è vero, secondo quanto riporta uno studio di Bankitalia che Giuseppe Valditara recita come il Vangelo, che «da metà degli anni Settanta il nostro sistema di istruzione non fa più da ascensore sociale e non consente un miglioramento delle condizioni famigliari di partenza». E addirittura nel 2022 siamo regrediti di 22 anni, con un balzo indietro fino al 2000 per quanto riguarda ciò che la scuola offre a uno studente.
Professore- perché Valditara è professore, di Diritto Romano presso l'Università degli Studi di Torino -, qual è l'eredità negativa del Sessantotto?
«La negazione dell'autorità, che è cosa ben diversa dell'autoritarismo, l'aver messo sullo stesso piano il messaggio di chi sta in cattedra, per insegnare, e le opinioni di chi sta sui banchi, per apprendere. Il distorto approccio culturale della liberazione da ogni limite ha creato le premesse perla degenerazione della scuola di cui oggi cogliamo i frutti».
È per rimediare a tutto ciò che il suo ministero si chiama dell'Istruzione e del Merito?
«Si è fatta tanta polemica sul concetto di merito, che invece è la sola cosa che consente di fare della scuola un luogo di realizzazione personale e valorizzare i talenti individuali dello studente».
La scuola del Merito teorizzata da questo governo è l'opposto di quella dell'Ugualitarismo propagandato dalla sinistra negli ultimi cinquant' anni?
«La sinistra ha puntato sul livellamento, abbassando il livello d'insegnamento, con la conseguenza che i più ricchi hanno potuto trovare vie alternative per educare i propri figli mentre i figli dei più poveri si sono trovati imbrigliati in una scuola che ha perso la capacità di promuovere socialmente offrendo opportunità di realizzazione professionale a tutti».
Cosa si propone la scuola del Merito che vuole realizzare?
«Ho semplicemente in mente una scuola seria, che rimetta al centro l'apprendimento e l'impegno. Per farlo, è necessario ripristinare l'autorevolezza dei docenti. La parola chiave dev' essere rispetto: delle persone, degli studenti, delle cose. I presidi, in particolare dopo le occupazioni, lamentano danni ingenti, e nessuno paga, si vandalizza per scherzo, impunemente».
Alcuni presidi denunciano, dopo le occupazioni, danni anche di mezzo milione di euro fatti dai ragazzi.
Cosa propone a riguardo?
«Ci vuole un patto di legalità per cui chi danneggia beni pubblici ne risponda, come del resto prevede la legge».
E quanto alla valorizzazione del merito dello studente?
«Quello si persegue costruendo i percorsi formativi il più possibile ritagliati sul singolo, facendo emergere le abilità di ciascuno, anche introducendo docenti tutor che seguano chi ha più problemi ma pure chi va più veloce e magari in classe si annoia. Importante è che la scuola sappia orientare lo studente a fare le scelte formative giuste».
Come si mette al centro l'insegnante?
«Innanzi tutto abbiamo, nei limiti angusti in cui ce lo hanno concesso le circostanze, dato un segnale economico. Ho chiuso subito un contratto non semplice, con aumenti medi di 124 euro al mese, i più alti degli ultimi rinnovi contrattuali. Non è molto, ma lo spazio, in una manovra orientata per due terzi a contenere il caro energia, era poco».
Valditara non ci tiene a diventare un personaggio, sa che sarebbe deleterio rispetto agli obiettivi che si è prefissato. È ministro dell'Istruzione in quota Lega, non per caso. Il suo capolavoro è la creazione di Lettera 150, un pensatoio che raccoglie alcune delle migliori menti universitarie italiane, dedito a formulare proposte e analizzare la società. È stato per 3 legislature nella commissione Istruzione del Senato, ha contribuito a stendere la riforma del sistema universitario voluta da Berlusconi, è stato capodipartimento al MIUR, è sul pezzo dal 2000, quando divenne assessore per l'Istruzione della giunta provinciale milanese. Detesta il bullismo, che secondo lo studio riportato dalla Fondazione Veronesi «porta depressione, abbandono precoce, cattivo rendimento, in rari casi perfino il suicidio e, nel lungo periodo può far ammalare e diminuisce l'aspettativa di vita». «Nella scuola italiana» spiega il ministro «il 25% dei ragazzi lamenta di essere bullizzato sistematicamente». Contro questo fenomeno Valditara non nasconde di ritenere necessario il ricorso ai lavori socialmente utili. «Lo studente che perseguita un compagno, aggredisce un insegnante o devasta la propria scuola deve prendere coscienza del proprio errore.
La sanzione serve a far capire al bullo che il suo ego ha dei limiti, coincidenti con il rispetto degli altri. La sospensione emargina e non promuove l'autocritica. I lavori socialmente utili sono formativi, rafforzano il patto di legalità che vuole che chi sbaglia, paghi».
Nel concreto a cosa pensa?
«Pulire ciò che si è sporcato, imbiancare le aule, prestare assistenza agli anziani, servire pasti alla mensa... La sanzione va modulata secondo il comportamento deviante».
Qualcosa mi dice che secondo lei c'entri sempre il Sessantotto, professore...
«Le critiche alla mia proposta sono state fatte in nome di Lacan, della scuola di Francoforte, addirittura rispolverando il 30 politico per tutti. Il concetto sessantottino della scuola come liberazione da ogni vincolo, di orientamento neomarxista, teorizzata da Herbert Marcuse, ha dato un duro colpo al merito, al rispetto del docente e al livello qualitativo della scuola».
Ma oggi i bulli a scuola non sono solo i ragazzi...
«Sono sempre più diffusi atteggiamenti aggressivi verso i docenti da parte di genitori. Anche qui dipende dalla crisi della autorevolezza sociale della figura del docente, e dalla assenza di una cultura del rispetto».
Come pensa di coinvolgere i genitori?
«La Pira sosteneva che la famiglia viene prima dello Stato, che è un'aggregazione di famiglie. È il concetto accolto dalla nostra Costituzione. È l'idea del primato della persona sullo Stato. Da qui il diritto e dovere dei genitori di scegliere il modello educativo per i propri figli. Oggi noi dobbiamo informare i genitori, costruire con loro il percorso più adatto per i ragazzi. In quest' ottica, è giusto continuare ad aiutare le scuole paritarie, quelle non profit».
Professore, la accuseranno di essere un restauratore, di volere una scuola tipo quella del libro Cuore, di inizio Novecento...
«Premesso che a scuola si va per imparare e non per divertirsi...».
Ecco, vede...
«Non contesti subito, andiamo sul pratico. Pensi al divieto di usare il cellulare in classe. Deve essere generalizzato: o ascolti l'insegnante o chatti, non c'è una via di mezzo, è una questione di serietà. Il ministro Fioroni, dell'Ulivo, voleva addirittura punire chi usava il cellulare in classe. Io non dico questo, vorrei solo che durante la lezione uno studente non chattasse con l'amico. D'altronde, pedagogisti, psichiatri e neurologi sono d'accordo nel dire che il perdurante utilizzo dei telefonini genera la progressiva perdita di facoltà mentali essenziali come la capacità di concentrazione, memoria, spirito critico...».
Torniamo al grande sospetto: lei rivuole una scuola novecentesca?
«Al contrario. La scuola è ritornata classista, io la voglio aperta e mobile. Oggi il 58% dei ragazzi italiani va al liceo, mentre in Svizzera e Germania ben l'80% dei ragazzi fa apprendistato o frequenta scuole tecniche e professionali. Noi abbiamo svalutato la formazione tecnica, ritenendola di seconda categoria, quando invece è il pilastro del sistema produttivo. Bisogna farla diventare un canale formativo di serie A, costruendo una filiera unica che vada dalla formazione fino all'istruzione tecnica superiore, parallela all'università e che renda anche questo tipo di insegnamento di alto livello».
I nostri percorsi formativi sono troppo astratti?
«Abbiamo privilegiato solo l'insegnamento astratto. Questo è il retaggio del Novecento, che considerava intelligenza solo quella astratta, mentre invece vi è una intelligenza concreta, da valorizzare. Pensi alla matematica, spiegata ai ragazzi come se fosse solo astrazioni, invece è la definizione della realtà. Se insegni solo formule, le capisce chi ha il bernoccolo della matematica; se parti dalla spiegazione della realtà, interessi tutti, e quindi tutti capiscono».
Pensa di coinvolgere anche le aziende nel processo formativo dei ragazzi?
«Faremo un'importante riforma della scuola tecnico-professionale. In Italia ci sono un milione e 200mila posti di lavoro, che non vengono occupati per mancanza di competenze tecniche. Il 46% delle aziende non trova qualifiche adeguate. Le imprese vanno coinvolte e, laddove siano necessarie qualifiche specifiche, le scuole devono poter assumere docenti tratti dalle imprese. Mi ispiro al modello scolastico mitteleuropeo, tedesco, in particolare».
E quello anglosassone?
«Eccellente a livello universitario. Sulla scuola, nulla da invidiare».
Per passare dalle teorie alla pratica?
«Primo, aiutare i genitori nella scelta delle scuole. Tra qualche giorno spedirò una lettera alle famiglie per l'orientamento dei figli informandole, provincia per provincia, delle opportunità lavorative e professionali più concrete nei rispettivi territori».
È vero che vuol rimandare a scuola chi percepisce il reddito di cittadinanza
«Più che rimandarlo, vorrei mandare a scuola chi non ha completato l'obbligo scolastico, e chi fra i 18 ei 29 anni non lavora, non si forma, non studia: sono 360.000 giovani. Se il reddito di cittadinanza dev' essere un'occasione di riqualificazione professionale, non può prescindere dalla scolarizzazione».
I sindacati si sono già opposti...
«Solita posizione ideologica che scinde lavoro da apprendimento, quindi dalla capacità di svolgerlo. Ma se si è tutti uguali e il merito non si premia, è più facile che si finisca tutti senza diritti piuttosto che tutti ben pagati e soddisfatti. Ben 140mila percettori di reddito di cittadinanza sotto i 30 anni hanno solo la licenza media, e in alcuni casi soltanto la licenza elementare, o neppure quella. Mi creda, contro la povertà è più utile una scuola di cittadinanza piuttosto che il reddito di cittadinanza»