Bancomat, scatta la super-tassa da 10000 euro: ecco come
L'economista, ora deputato del Pd, Carlo Cottarelli ieri ha voluto replicare alla provocazione di Matteo Salvini dicendosi «fiero» di essere uno di quei «rompiballe» che vuole pagare il caffè col bancomat. Il problema, al di là di chi rompe o meno, è che l'abitudine non è gratis. Non lo è per chi paga, che deve versare alla banca il canone della carta, e non lo è sicuramente per chi incassa, che deve restituire al circuito dei pagamenti elettronici una parte del fatturato. Con la differenza che il primo può scegliere e il secondo no. Dopo 10 anni dall'introduzione del Pos obbligatorio da parte di Mario Monti, periodo nel quale nessuno, neanche tra gli ex premier del partito di Cottarelli, ha avuto da ridire, Mario Draghi ha infatti introdotto, a partire dallo scorso giugno, una sanzione (di 30 euro aumentata del 4% del valore della transazione) al commerciante che non si dota del dispositivo. Contestualmente è stato anche ridotto il credito d'imposta sulle commissioni (con limiti di fatturato) dal 100% al 30%. Serve a combattere l'evasione? Forse. Anche se in teoria il commerciante e il professionista è obbligato ad emettere fattura o scontrino anche in caso di pagamenti in contanti. E proprio ieri, smentendo clamorosamente il castello di accuse costruito in questi giorni da Pd e Cinquestelle, l'Europa ha stabilito che il tetto giusto per l'utilizzo del contante non è di 5mila euro, bensì di 10mila. Pure Bruxelles adesso tifa per gli evasori. Tutto può essere, ma una cosa è certa: con 10mila euro il caffè senza bancomat te lo paghi per tutta la vita.
MICROPAGAMENTI
Sgombrato, si spera, il campo dalle polemiche sul nero, resta il problema dei costi. Sono irrisori e non giustificano affatto l'introduzione di una soglia, sia essa di 30 o 60 euro, per proteggere i margini delle partite Iva sui micropagamenti, hanno spiegato in questi giorni le opposizioni. Ebbene, allora vediamo quanto pesa il Pos sul bilancio di un negoziante o un ristoratore. A fare i calcoli ci ha pensato Unimpresa, che ha esaminato nel dettaglio l'insieme delle commissioni che gli imprenditori devono pagare al circuito dei pagamenti per l'utilizzo del Pos. La buona notizia è che i costi, negli ultimi cinque anni, sono scesi del 40%. Segno che il mercato e la concorrenza funzionano, portando le società bancarie ad abbassare le proprie pretese per restare competitive.
SPESA TOTALE
La cattiva, però, è che il conto totale è ancora tutt'altro che trascurabile. «Tra costi fissi e commissioni bancarie», spiega l'Ufficio studi di Unimpresa, le spese complessive che un ristorante o un bar deve sostenere per gestire i pagamenti con il Pos arrivano fino a 10mila euro». A questa cifra si arriva nel caso non raro di un esercente in possesso di due o tre diversi dispositivi (mobili o fissi), ciascuno dei quali può comportare un esborso di 3-4mila euro secondo l'incasso dell'attività. Insomma, la questione esiste e non è marginale. È per questo che il presidente onorario di Unimpresa, Paolo Longobardi, chiede che «sia affrontato, assieme ai rappresentanti delle banche e al governo, il tema dei costi pagati alle banche sia quelli delle commissioni sulle singole transazioni sia quelli relativi al canone di noleggio dei singoli apparecchi Pos: costi che se i grandi negozi riescono ad ammortizzare nell'ambito di importanti volumi d'affari, per le attività minori rappresentano, al contrario, un fattore non irrilevante che erode i già bassi margini di guadagno». Una strada che il governo, già nell'iter parlamentare della legge di bilancio, sembra intenzionato a voler prendere, lavorando sia sulla rimodulazione della soglia di esenzione dall'obbligo sia su una ridefinizione dei costi delle commissioni.