Elly Schlein, ecco chi era il nonno garantista della candidata manettara
Elly Schlein ha messo al centro del suo programma la giustizia sociale e quella ambientale (che poi non si capisce bene cosa sia). Ha dimenticato però una giustizia ancora più importante, perché concerne la vita e la dignità delle persone: la giustizia penale. D'altronde, come potresti concorrere alla leadership di un partito di sinistra sinistra, quale è quello che ha in mente la neocandidata a segretario del Pd, scontentando magistrati, giudici e opinione pubblica giustizialista?
Anche quando è stata ospite del congresso di Magistratura Democratica, nel 2020, Elly si è guardata bene dall'affrontare il tema, concentrandosi su quello a lei più congeniale dei diritti degli immigrati. Chissà cosa avrebbe pensato di questa reticenza il nonno materno della neodeputata, l'avvocato Agostino Viviani, che alla questione dedicò buona parte della sua vita, quasi fosse una missione, prima da avvocato e poi da deputato socialista nella VI e VII legislatura. Pagandone amaramente il prezzo: quando nel 1979 Bettino Craxi preparò le liste per la nuova tornata elettorale dovette cancellare il nome di Viviani sotto pressione della magistratura politicizzata che non aveva gradito la proposta di legge per la responsabilità civile dei magistrati che l'allora presidente della Commissione Giustizia del Senato aveva presentato qualche tempo prima, primo e unico firmatario. Craxi, già segretario e in forte ascesa nel partito che avrebbe presto dminato, non se la sentì di andare allo scontro, non sentendo probabilmente ancora maturi i tempi. Quella legge fu poi approvata, ma anche molto depotenziata, nel 1988, in seguito all'esito di un referendum che aveva visto più dell'80% degli italiani schierarsi a favore. Ministro era allora un altro fine giurista socialista, garantista e ex partigiano come Viviani: Giuliano Vassalli.
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PRINCIPE DEL FORO
Come doveva poi andare a finire di lì a poco la partita fra magistratura e politica, è a tutti noto. Quel che è meno noto è che, ritornato avita privata, principe del foro ed esponente della colta borghesia milanese, Viviani nello stesso 1988 aveva scritto "La degenerazione del processo penale in Italia", un volume che insieme ai due successivi (Il nuovo Codice di Procedura Penale: una riforma tradita, del 1989, e La chiamata di correo nella giurisprudenza, del 1991), metteva il dito nella piaga di quel Sistema che Sallusti e Palamara avrebbero così ben descritto tanti anni dopo, e che ancora oggi risulta pressoché impossibile da smantellare (a proposito: buona fortuna, ministro Nordio!).
Vecchio e avanti nell'età (sarebbe morto quasi centenario nel 2009), Viviani non esitò fino all'ultimo a scandalizzarsi: è inconcepibile, si chiedeva che in uno stato democratico, in cui non dovrebbero esserci caste, per il magistrato si faccia una così mostruosa eccezione, lo si liberi cioè dei reati di colpa e dolo grave che valgono per tutti i pubblici dipendenti? I libri dell'avvocato milanese (ma di origini senesi) dovrebbero stare nella biblioteca di tutti gli italiani, anche se sembrerebbero mancare in quella della nipote che come lui ha intrapreso la carriera politica. di Viviani.
TRADIMENTO
Mille miglia lontana da quei principi cardini della civiltà liberale in cui fermamente credeva il nonno, la Schlein sembra avere optato perla strada più facile e popolare: quella che antepone i diritti al diritto. Una via che alla fine non può che portare a tradire anche i primi che diventano un corpo vuoto e fatto di slogan senza l'anima che sola può riempirla. Non c'è infatti giustizia sociale, e quindi sostanziale, se manca quella formale o legale che ci fa tutti uguali e innocenti (fino a prova contraria) davanti alla legge. Ma tutto questo Elly non lo sa (o finge di non saperlo).
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