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Elly Schlein, storia nuova? Tutto il contrario: perché è un vecchio film

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Corrado Ocone
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«Parte da noi una storia nuova», «siamo qua per la ricostruzione di un nuovo Pd», «da oggi si volta pagina». Quante volte abbiamo sentito nel corso degli anni pronunciare queste solenni parole, fare queste promesse, da segretari o candidati alla segreteria del maggiore partito della sinistra italiana? Che poi di nuovo si sia visto ben poco, non è da meravigliarsi: c'è come una coazione a ripetere che ogni volta porta il Pd a far finta di cambiare ma poi restare nei fatti saldamente ancorato alla sua identità che non è identità, né carne né pesce. Elly Schlein avrebbe in teoria tutte le carte in regola per cambiare davvero le cose: cosmopolita, fluida, à la page, idolo dei salotti che contano e della gente che si piace e autocompiace, chi più di lei potrebbe portare a termine la mutazione antropologica degli ex comunisti e dar vita a un partito radicale.

 

 

Il quale però non sarebbe di massa, come preconizzava Augusto Del Noce, ma decisamente minoritario, per non dire irrilevante. Che sia però la strada che la tanto osannata Elly voglia, o meglio possa, percorrere, non è dato pensarlo dopo la manifestazione romana di domenica in cui ha presentato la sua candidatura. Alla fine l'impressione è che, ancora una volta, di nuovo ci sarebbe solo il volto del segretario. Certo, la novità è che si tratterebbe di una donna, ma anche in questo caso il partito del futuro e del progresso arriverebbe tardi all'appuntamento con la storia, clamorosamente superato dalla destra che dipinge come reazionaria ma che una donna è riuscita a piazzarla (senza cooptazione) alla guida del governo. Abbastanza patetico è così risultato l'arrampicarsi sugli specchi della Schlein, che ha definito femminile ma non femminista la leadership della Meloni. Vecchio e stantio, consumato, prevedibile, è parso il discorso della neo candidata, nei contenuti come nel metodo proposto.

 

 

LUOGHI COMUNI
Quale candidato alla segreteria non si è proposto di combattere le diseguaglianze e la precarietà nel lavoro salvo poi dimenticarsene nella realtà effettiva del governo? E che senso ha poi allarmarsi per le diseguaglianze quando il rischio concreto è quello di una povertà diffusa, di un popolo di assistiti che ha perso lo stesso sprone a migliorarsi e a cambiare le proprie condizioni di vita? E anche la difesa astratta del clima può dirsi proprio una novità? E non sa di vecchio inciucio il cercare un "percorso comune", il ribadire che non c'è nessuna divisione fra radicali e riformisti, che le sfide si vincono come comunità, che con Bonaccini si troverà una sintesi sulle differenze (e cioè dividendosi il potere fra lobby e correnti)? La difesa di Saviano, che può insultare perché è intellettuale e di sinistra, e quindi ha una "zona franca" non concessa ai comuni mortali, ha rispolverato la vecchia spocchia da "superiorità morale". Mentre la Bella Ciao cantata tutti in piedi alla fine della kermesse è l'immancabile ciliegina su una torta stantia che agli italiani è ormai del tutto indigesta.

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