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Schlein e Boldrini, il retroscena: come possono far saltare il Pd

 Schlein e Boldrini

Fausto Carioti
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La buona notizia, per il Pd, è che il partito degli amministratori locali si è mosso in tempo per ostacolare la scalata lanciata ieri a Roma da Elly Schlein, alfiera dell'ambientalismo talebano modello "Fridays for Future", dei diritti civili senza doveri, del femminismo che ha per prime nemiche le donne come Giorgia Meloni e dell'ossessione verso «la peggiore destra nazionalista», da combattere cantando "Bella Ciao" col pugno chiuso. Insomma, il vecchio statalismo mascherato da nuova frontiera, le parole d'ordine color rosso antico ricoperte da una mano di vernice verde ecocompatibile, che se diventasserola nuova dottrina del Nazareno renderebbero il Pd ancora più distante dalla realtà e dal mondo della produzione e del lavoro. Per la gioia di Carlo Calenda e Matteo Renzi: i due sperano in una vittoria della pasionaria italo-svizzera, certi che il giorno dopo ci sarebbe una fuga di massa di elettori e dirigenti nazionali e locali verso Azione e Italia Viva, ma sanno che il loro sogno difficilmente si realizzerà.

SINDACI E GOVERNATORI - Proprio per evitare che la Schlein sia il prossimo capo del Pd e che tutto questo accada si è messo in moto il panzer emiliano Stefano Bonaccini, portabandiera di ciò che resta del riformismo progressista. Lo aiutano il sindaco di Firenze Dario Nardella, che è un po' più a sinistra di lui, tant' è che la Schlein lo avrebbe voluto al proprio fianco, il sindaco di Bergamo Giorgio Gori e quello di Bari Antonio Decaro. Soprattutto, spingono per lui i governatori Vincenzo De Luca e Michele Emiliano, i "capibastone" del Pd al Sud. Bonaccini è il cavallo che oggi tutti gli allibratori danno vincente.

 

 

Dal lato opposto dello spettro piddino, per prendere voti dei tesserati e magari impedire che la Schlein arrivi al ballottaggio che si terrà il 19 febbraio, è in arrivo almeno un altro candidato forte, che dovrebbe essere il sindaco di Pesaro, Matteo Ricci. Uno che piace a chi, come Goffredo Bettini, vorrebbe condurre il partito verso l'abbraccio coi Cinque Stelle, ma risparmiandosi quell'odore di centro sociale che avvolge la Schlein.

La neoeletta in parlamento è rimasta quella di Occupy Pd, il movimento di militanti che nel 2013 volevano rottamare i vertici del partito, almeno finché questo non avesse offerto loro una candidatura in un seggio sicuro. E il linguaggio della Schlein è sempre quello da assemblea studentesca: «Vogliamo far partire un percorso collettivo plurale... Il nostro noi non è escludente...». Lei parla così.

Per annunciare che vuole diventare «la segretaria del nuovo Pd» e che per riuscirci è persino disposta a prendere la tessera del partito, ha scelto il Monk, un locale trendy della periferia di Roma. Assicura che non è lì «per fare una resa dei conti identitaria», e invece a distinguerla sono proprio gli slogan identitari contro «il modello di sviluppo neoliberista che si è rivelato insostenibile» e la lista dei nemici che snocciola. Tutti collocati alla sua destra, anche quelli che di destra non sono.

È un nemico Matteo Renzi, che rappresenta il tentativo abortito di trasformare il Pd in qualcosa di simile al Labour Party di Tony Blair: un'idea che a lei fa orrore. «Renzi ha lasciato macerie e se n'è andato. Chi sta già ammiccando con la destra non può dirci come costituire la sinistra».

 

 

C'è il nemico Roberto Calderoli, il cui disegno di legge sull'autonomia differenziata secondo la Schlein «va rigettato con forza», poiché «affonda le sue radici nella secessione». Il ministro le fa notare che nel periodo in cui è stata vicepresidente dell'Emilia Romagna, ossia fino a quaranta giorni fa, la sua regione «ha portato avanti la richiesta per avere quindi materie da gestirsi autonomamente», e lei si era guardata dall'obiettare alcunché. E ovviamente c'è la nemica Meloni: «Non ce ne facciamo niente di una premier donna che non aiuta le altre donne, che non ne difende i diritti». Con questa premessa, la Schlein le chiede di ritirare la querela al suo amico Roberto Saviano, perché «non si possono colpire gli scrittori».

GELO A SINISTRA - A fare il tifo per lei, in prima fila, c'è Laura Boldrini, convinta che il Pd debba essere «progressista, ecologista e femminista». C'è Dario Franceschini con la sua corrente: lui al Monk non s' è visto, ma era presente sua moglie, la deputata Michela Di Biase. Anche Enrico Letta, potesse, sceglierebbe lei, ma il segretario uscente non ha truppe da schierare. A sinistra Beppe Provenzano, il vice di Letta, pur avendo tante cose in comune con la Schlein, prende tempo, perché «non è questo il momento di ridurre tutto a chi sta con chi». Freddo Andrea Orlando, leader della gauche piddina, per il quale «se Bonaccini rappresenta il vecchio ed Elly Schlein il nuovo si vedrà». E gelido Matteo Orfini, che dovrebbe schierarsi addirittura con Bonaccini. Compagni o no, sanno tutti che il prossimo segretario del Pd può essere anche l'ultimo: meglio evitare l'avventurismo. 

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