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Manovra criticata da tutti? Forse il governo ha ragione

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Sandro Iacometti
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Non che le accuse siano particolarmente circostanziate. Per il presidente di Confindustria il grave difetto di questa manovra è aver buttato soldi per l'estensione della flat tax e sui prepensionamenti a scapito delle imprese. Guardando i numeri, però, si scopre che i due capitoli di spesa pesano complessivamente per meno di un miliardo su una legge di bilancio che stanzia complessivamente 35 miliardi. Risorse in gran parte destinate proprio al tessuto produttivo, a partire dai 4,5 miliardi del cuneo fiscale fino ai circa 10 miliardi per il credito d'imposta sulle bollette di energivori e gasivori.

Nel mezzo ci sono oltre 600 milioni per lo slittamento di sugar e plastic tax, 800 milioni per il fondo di garanzia per le Pmi, 500 milioni per il caro prezzi degli appalti pubblici e altri spiccioli erogati qua e là per sostenere vari settori imprenditoriali. In tutto, solo contando queste voci siamo oltre i 16 miliardi di stanziamenti, quasi metà manovra. Troppo pochi? Sicuramente sì. E lo dice anche il governo, che promette interventi molto più significativi per il prossimo anno. Ma sostenere, come fa il numero uno di Confindustria, che non c'è nulla per le imprese perché manca quel taglio invocato da tempo sul cuneo fiscale (un terzo rivolto ai datori e non tutto ai dipendenti com'è quello attuale) di 16 miliardi è una storia diversa. Stesso discorso per i sindacati. Cgil e Uil (la Cisl ha preferito scegliere la via del confronto, esprimendo anche apprezzamenti per alcuni punti della finanziaria) minacciano di sfilare in ogni piazza d'Italia contro una manovra iniqua che trascura i poveri e aiuta i ricchi.

I SOLDI AI POVERI
Anche in questo caso si tratta di una critica un po' difficile da dimostrare numeri alla mano, considerato che a fronte del risparmio stimato di circa 700 milioni sul reddito di cittadinanza (che peraltro saranno inseriti in un Fondo per la povertà e l'inclusione, così come i 7 miliardi che arriveranno dal 2024 con l'abolizione del sussidio) ci sono circa 2 miliardi destinati alle famiglie meno abbienti (fondo indigenti, assegno unico e taglio dell'Iva sui prodotto di prima necessità), 2,5 miliardi per rifinanziare il bonus sociale sull'energia, 210 milioni per incrementare al 120% la rivalutazione delle pensioni minime, 250 milioni per il fondo sociale per l'occupazione e la formazione e altri stanziamenti minori. Poco? Sicuramente pure qui, non avendo i fucili puntati dell'Unione europea, non arrivando a Palazzo Chigi dopo settimane di allarmi sulla tenuta dei conti pubblici e senza la Bce che continua ad avvertire di non alimentare la spirale inflazionistica con aiuti troppo generosi, si poteva fare di più.

Ma non è questo il punto. Il presidente del Senato, Ignazio La Russa, ieri ha spiegato che «se il governo viene criticato sia dal capo di Confindustria sia dal capo dei sindacati questo vuol dire che è nel giusto». Ragionamento che può sembrare semplicistico e ironico, ma che invece contiene una buona dose di verità. È in questa convergenza delle critiche (comprese quelle che ovviamente arrivano dalle opposizioni), infatti, che si può intravedere quell'aggettivo «coraggioso» che più volte Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti hanno usato per definire la manovra. Dov' è il coraggio, si sono chiesti in molti, in una legge di bilancio che ha potuto solo accennare una serie di interventi programmatici promessi in campagna elettorale e che era fin dall'inizio inserita in percorso assai stretto indicato dalle emergenze in atto e dalle azioni del precedente governo guidato da Mario Draghi?

DELUSIONE ED EQUILIBRIO
Ecco, la delusione delle opposte categorie, da una parte chi difende i legittimi profitti delle imprese e pensa giustamente alla crescita, dall'altra chi tutela i diritti dei lavoratori e delle fasce più deboli a volte trascurando l'importanza per il welfare di creare ricchezza, dimostra che il governo è riuscito, sicuramente sbagliando qualcosa per la fretta, a trovare un equilibrio. Equilibrio che scontenta un po' tutti. E forse mette anche a rischio un po' di consensi, i cui effetti reali si potranno vedere solo passata la sbornia elettorale ancora troppo recente. Ma che probabilmente aiuterà il Paese a superare con pochi scossoni i prossimi mesi, che si preannunciano i più complicati. Poi, a partire dalla definizione del Def nella prossima primavera, l'esecutivo potrà avere il tempo e lo spazio adeguati per tracciare con più chiarezza quell'orizzonte di legislatura più volte enunciato anche in queste settimane. La partita sulla prima manovra dell'esecutivo di centrodestra, in ogni caso, non è ancora chiusa.

A 28 giorni dalla scadenza di fine anno, sono ancora diversi i nodi da sciogliere: dal Superbonus alle pensioni (il cantiere di Opzione donna è ancora aperto), governo e maggioranza sono al lavoro per chiudere tutte le misure e assicurare che l'iter parlamentare non incontri ostacoli. A giorni dovrebbe arrivare una soluzione sui crediti incagliati del Superbonus, che confluirà negli emendamenti del decreto aiuti quater. Sempre sul Superbonus, il Tesoro sta valutando la riapertura dei termini (scaduti il 25 novembre) per presentare le Cilas e beneficiare del vecchio sconto al 110%. Intanto Forza Italia si dice rassicurata dalle parole del ministro Giorgetti, che ha annunciato la proroga in manovra del bonus Sud, ovvero il credito di imposta per le imprese che investono nel Mezzogiorno. Mentre il ministro delle Imprese, Adolfo Urso, fa sapere che si lavora anche «per rifinanziare transizione 4.0, cioè il credito d'imposta a favore delle imprese che intendono rinnovare». C'è poi la questione dell'aumento a 60 euro della soglia dei pagamenti con il pos, che perla Corte dei Conti viene meno agli impegni presi con il Pnrr sulla lotta all'evasione. Come ha spiegato ieri il ministro dell'Agricoltura, Francesco Lollobrigida, «il governo è aperto a tutti i miglioramenti possibili». 

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