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Amnesty si dimentica l'odio di grillini e Pd: una classifica assurda

Daniele Dell'Orco
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Quando un parametro ribalta la realtà. Nel mondo digitale il fenomeno della diffusione dell'odio specie online è considerato un dramma epocale. In effetti, la facilità con cui tramite i social si riesce a seminare odio sia gratuito che strumentale è straordinaria. E quindi pericolosa. In politica la responsabilità della diffusione dell'odio è doppia, perché trasmette un senso di inaffidabilità e di manipolazione degli istinti più bassi degli elettori. In sostanza, peggiora il clima. Per questo, anche dal punto di vista della narrazione, poter ritrarre un leader politico come portatore sano d'odio paga. Secondo la lista che Amnesty International stila ogni anno, un "barometro d'odio", in cima ai "cattivi esempi" della politica italiana c'è il centrodestra, poi il Terzo polo, il Pd e ultimi i 5 Stelle. Nel 2022, dice il report, l'immigrazione è l'argomento capace di generare più odio, poi le minoranze e i loro conflitti e al terzo posto una singola minoranza etnica: i Rom.

Un post su cinque riguarda i diritti umani. Questo il risultato di cinque settimane di studio tra agosto e settembre 2022, in piena campagna elettorale, di 50 attivisti e ricreatori. Hanno vagliato quasi 30mila contenuti di 85 politici italiani e sono giunti alla conclusione che Matteo Salvini è il più "hater" di Italia. È difatti lui a scrivere di più contro quattro categorie: minoranze religiose, immigrazione, diritti sociali e mondo della solidarietà (quindi le ONG). Il secondo leader di partito più "misantropo" è il premier Giorgia Meloni, chiude il podio Carlo Calenda.

 

Il problema è, appunto, il parametro di riferimento. Perché ad esempio non c'è tra gli argomenti di proliferazione dell'odio l'attacco personale o sul privato contro gli altri leader? Nello stesso lasso di tempo, il futuro premier Meloni è stato attaccato in tutti i modi per le sue origini umili, per la sua vita sentimentale (non è sposata) e per il presunto nostalgismo fascista.

O in base a cosa non vengono considerati strumenti d'odio i regolamenti di conti all'interno del Movimento 5 Stelle? O anche il modo in cui i grillini, ultimi in questa classifica, e quindi "buoni", hanno per anni comunicato verso l'esterno? Sono il partito del "vaffa" di cui persino l'ex capo politico Luigi Di Maio 6 mesi fa prima della scissione disse: «Temo che il M5s diventi la forza politica dell'odio». Fu generoso, visto che lo è sempre stata. Solo che se n'è accorto quando a farne le spese fu lui. Dopo l'ennesima giornata di sciabolate con Giuseppe Conte, l'allora ministro degli Esteri disse: «Mi sono permesso di porre dei temi per aprire un dibattito su questioni come la Nato, la guerra in Ucraina, la transizione ecologica e ho ricevuto insulti personali». Illoro stile, praticamente. Come dimenticare tra i tanti esempi le liste di proscrizione che quotidianamente pubblicavano sul blog di Grillo? Una era "il giornalista del giorno". 

Un ritratto infamante con tanto di nome e cognome del reporter di turno da andare ad insultare sui social. A fine anno, poi, c'era la maxi lista finale per nominare il giornalista (peggiore) dell'anno in base ai loro precetti. E poi la sete di giustizialismo che li ha spinti a gettare nelle galere virtuali del web politici indagati o rinviati a giudizio. Poco importa se poi, a distanza di anni, si sono rivelati innocenti dalle vite rovinate. E che dire del Pd, che proprio nel periodo preso in esame da Amnesty è stato protagonista di una campagna elettorale proiettata da Enrico Letta così tanto sull'avversario da infangarlo e infastidire persino la base elettorale dem. I simpatizzanti Pd hanno abbandonato la causa nelle urne, ma già prima nelle reprimende contro un segretario ossessionato solo da Giorgia Meloni, Matteo Salvini, la peggiore destra di sempre, il pericolo di distruzione del Paese a causa dell'inadeguatezza degli altri. Non avversari politici ma nemici da abbattere. Con cattiveria e livore che, nel barometro dell'odio di Amnesty, non sono considerati parametri.

 

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