Ischia? Altro che "scemo accertato": Salvini denigrato, ma aveva ragione lui
Character assassination: nel linguaggio giornalistico anglosassone ha un nome preciso quella pratica che consiste, secondo la definizione del Dizionario Inglese Collins, nello «sforzo sistematico e deliberato per distruggere la reputazione di qualcuno». Può definirsi altrimenti l'ossessione che i mezzi di comunicazione italiani hanno verso Matteo Salvini, il vicepremier a cui si imputa ogni sorta di nefandezza e di cui vengono mistificate e travisate tutte le parole che profferisce? Fino a dedicargli, come ha fatto ieri Il Foglio, una copertina a colori in cui lo si definisce "scemo accertato" solo perché aveva detto che i morti di Ischia erano otto quanto tutti pensavano che fossero di meno. Nessuno si è chiesto, come pure sarebbe stato compito di un giornalismo serio, chi avesse dato a Salvini quella cifra, poi rivelatasi purtroppo errata per difetto e non per eccesso.
L'interpretazione che si è voluto accreditare, e che quello che un tempo era un giornale anticonformista e raffinato ha fatta propria pur di screditare e distruggere moralmente l'uomo, è che egli l'avesse buttata lì per smania di presenzialismo, quasi fosse un parvenu qualsiasi che ha disperato bisogno di visibilità.
C'è qualcosa di antico in questa pratica: ricorda quell'assassinio rituale che gli uomini primitivi compivano per purificarsi individuando un capro espiatorio che, con la sua morte (oggi per fortuna non fisica), avrebbe esorcizzato quel male e quei peccati che la comunità vedeva in se stessa. Né bisogna andare così lontano nel tempo, invece, per ricordare gli esiti nefasti che tali operazioni mediatiche hanno generato, per mano di squilibrati (che non mancano mai), negli anni di piombo (penso al caso Calabresi). Non siamo a questo punto, per fortuna, ma sarebbe forse giunto il momento di ridare alla politica il suo spessore, che è fatto di lotta fra interessi e opinioni contrapposte non di assassini, per quanto metaforici, di avversari e portatori di opinioni diverse dalle proprie. Né, in questo caso, si può invocare il diritto di satira, il quale giustamente è tutelato, ed anzi promosso, dalle società liberali.
La satira non insulta e non denigra chine diventa oggetto, ne mette semplicemente in luce e alla berlina certi tratti del carattere; non vuole dare lezioni di morale ma aiutarci a meglio vedere negli altri certi difetti di cui nessuno può dirsi immune. Fra chi fa satira e chine è oggetto si crea una certa complicità, come è noto: si tratta di un movimento di testa e non di pancia, come questo del Foglio. Una sola consolazione: gli italiani non sono dei gonzi come crede qualche intellettuale radical chic, che si crede in diritto di potere tutto. E la realtà prima o poi presenta il conto a chi bara. Il caso Souhamoro ha fatto ricordare a tutti la vecchia copertina dell'Espresso in cui la sua foto era affiancata a quella di Salvini e sovrastata dal titolo: "Uomini e no". Anche lì c'era un tentativo di degradazione e disumanizzazione del segretario della Lega. Come sia andata a finire, è sotto gli occhi di tutti.