Se il Pd abolisce il merito (e tradisce Berlinguer)
I dem presentano l'emendamento per tornare alla dicitura "Pubblica istruzione" Eppure l'ex segretario del Pci già nel 1981 usava quella parola come bandiera...
Ah, il merito, questo sconosciuto. «Noi pensiamo che il privilegio vada combattuto e distrutto ovunque sian nidi, che i poveri e gli (...) emarginati, gli svantaggiati, vadano difesi, e gli vada data voce e possibilità concreta di contare nelle decisioni e di cambiare le proprie condizioni, che la professionalità e il merito vadano premiati». Voilà.
Queste parole in difesa ineluttabile del merito, non sono state pronunciate dal ministro all'Istruzione Giuseppe Valditara considerato un pericoloso fascio per sinistra vulgata; bensì da Enrico Berlinguer, nella storica intervista a Eugenio Scalfari pubblicata su Repubblica il 28 luglio 1981. Bisogna che qualcuno le ricordi al Pd, oggi travolto da furia lessicale e tutt'intento a dar battaglia parlamentare, assieme alle opposizioni in blocco, per proporre di cambiare il nome del «Ministero dell'istruzione e del merito» in «Ministero della pubblica istruzione». Prima di cancellare il merito come fosse il cambio toponomastico di una piazza e in un raro esercizio di autolesionismo (ma parliamo pur sempre del Pd...), be', urge rileggersi quel Berlinguer. Allora, lo storico segretario del Pci allestendo il manifesto stesso della «questione morale», regolava e incorniciava le aspirazioni del partito sull'antico brocardo di cui all'articolo 14 della Costituzione riguardante il diritto allo studio: «La scuola è aperta a tutti/ L'istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita/ I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi». I capaci e i meritevoli, occhio.
POSTUMI DEL '68 Cioè: a parità di inclusione, il merito diventa il mezzo più democratico per consentire alle classi più basse di abbattere le diseguaglianze. Che è, guarda caso, esattamente il punto di partenza del governo Meloni e di Valditara nella riqualificazione di una scuola ancora devastata dal degrado demeritocratico dei postumi sessantottardi.
Il merito appartiene anche alla sinistra.
E pure l'altro Berlinguer, Luigi, da ministro della Pubblica Istruzione di governi di centrosinistra (Prodi e successivi esecutivi, dal '96 al 2000) cercò timidamente d'introdurre il concetto di merito nella scuola. Idem per il democratico Giuseppe Fioroni, il quale nel 2008 dichiarò che il Pd doveva puntare sulla meritocrazia nelle scuole come strumento di emancipazione sociale. Anche dopo l'insediamento del governo Monti nel 2011, il principio ispiratore di Francesco Profumo, nuovo Ministro caro a Piero Fassino, rimase la meritocrazia. E nel 2013, con il ritorno del Pd al governo, l'ex montiana Stefania Giannini, pose ugualmente il merito della sua agenda ministeriale. Tutti di area democratica. Tutti pericolosi eversori? No.
Semplicemente, oggi, le opposizioni - per un riflesso pavloviano figlio del massimalismo marxista - tendono sempre a far casino ogni volta che un ministro meloniano approccia qualsiasi argomento. Ma, in questo caso, la cancellazione del "merito", sia essa di significato che di significante, non è una battaglia politica. È, tecnicamente, una cazzata. Il modello della piallatura sociale ha disseminato la scuola -e non solo la scuola- di cadaveri.
Perché non soltanto non ha eliminato la (pessima) discriminazione sulla base del censo; ma ha pure impedito quella che Marcello Veneziani chiama la «benemerita forma di promozione sociale per chi non ha altri sostegni che il proprio talento, la propria diligenza di studioso».
Diciamo che favorire le capre non è stata una strategia a lungo termine appagante. Stiamo dicendo una banalità, ma non siamo gli unici. Se parlate con lo psichiatra Paolo Crepet, appena sente evocare la teoria del buonismo e dei condoni educativi mette mano alla rivoltella: «È ciò che è stato praticato con risultati terrificanti: crescita dell'abbandono scolastico, 100% di promozioni alla maturità, abbassamento dei livelli di apprendimento. Se si vuole uscire dal sorvegliare e punire dove il senso civile conduce, quale strada dobbiamo percorrere? Si tratta di una domanda troppo importante perché sia lasciata ai soli insegnanti e al ministero», scrive il prof sulla Stampa. E la strada a cui allude è, ovviamente, quella del merito.
Se leggete sull'Huffington Post Alessandro Barbano, giornalista e accademico tutt'altro che eversore, che cita a sua volta Adrian Wooldridge dell'Economist, avrete la certezza che un «Paese senza élite democratiche è la democrazia dei furbi e dei mediocri. Che calpesta l'orgoglio di far valere il proprio talento e i propri sacrifici, discrimina i più deboli, innaffia il nepotismo». E potremmo andare avanti all'infinito, partendo da Gramsci. La prevalanza del merito deve valere per tutti: sinistra, centro e destra.
Anzi, con la scusante del complesso d'inferiorità verso l'egemonia cultura della sinistra, c'è stato un momento in cui la quantità di capre di destra che s' issava sulle vette del potere era impressionante. La selezione meritocratica dovrebbe valere anche e soprattutto per la classe politica. Semmai più che cancellare il merito urge accertarsi che non resti slogan, lettera morta d'un immaginario volenteroso.
IL CARDIOLOGO PUGLIESE All'università avevo un compagno di collegio, Giuseppe De Cicco, figlio di un contadino che si spaccava la schiena dalle cinque del mattino a raccogliere «i cardi» - i carciofi nella campagna pugliese. Studiava come un pazzo perché gli piaceva; e per il sacro terrore che il padre lo ancorasse pure sulla raccolta dei pomodori.
Grazie al suo talento e al merito tradotto in borse di studio, oggi il professor De Cicco è un apprezzato cardiochirurgo a Brescia («sempre di cardi tratto», dice). Aldilà della retorica, ognuno ha conosciuto il suo De Cicco: italiani sopra la media che hanno utilizzato il merito come miglior ascensore sociale partendo da una posizione oggettivamente di svantaggio. Credo che Giuseppe voti ancora Pd, e sarà incazzatissimo. Mi sa che, onore al merito, gli allungherò il numero di Enrico Letta.