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Matteo Renzi, "nessun inciucio ma...": cosa è pronto a fare con la Meloni

Fausto Carioti
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Matteo Renzi dice di essere «una persona felice» e pare crederci davvero: se mente, mente bene. Litiga con i magistrati titolari dell'inchiesta su Open, la fondazione a lui legata, ma i motivi di soddisfazione non gli mancano: è tornato in parlamento, smentendo chi lo aveva dato per spacciato, e vede la nuova edizione del suo libro, Il Mostro, in cima alla classifica dei libri di politica. Per tutto il resto, c'è Enrico Letta. «Lui è ormai una certezza: quando si trova davanti a un bivio, si può stare certi che sceglierà la strada sbagliata».

Buon per voi del terzo polo. O no?
«Già, però qui siamo alla recidiva: a Letta non sono bastate le elezioni politiche e ha ripetuto lo stesso schema suicida alle regionali, dove c'era la possibilità di strappare la Lombardia alla destra appoggiando una candidatura moderata come quella di Letizia Moratti. Il raffinato stratega di Sciences Po ha scelto invece di occhieggiare a Giuseppe Conte, fra l'altro in una regione in cui i grillini sono deboli, e di fare il contrario nel Lazio, dove sono forti. Ormai Letta ha trasformato il Pd nel Partito de Coubertin: non corre per vincere, ma per partecipare».

Nei sondaggi il Pd è stato sorpassato dai Cinque Stelle. Se lo aspettava?
«Nessuno stupore. Conte è stato tutto e il contrario di tutto: dopo essersi detto sovranista e populista, adesso gioca a fare il punto di riferimento dei progressisti, ma è chiaro che a dargli una grossa mano è stato il Pd, che sta facendo di tutto per scomparire e diventare la sesta stella del M5S».

Uno degli scontri più duri con Conte lei lo ebbe nel 2018, proprio sul condono per Ischia.
«Intanto mi faccia dire che questo disastro riempie di dolore: tutta la mia solidarietà va alle famiglie delle vittime, agli abitanti, ai soccorritori. Nel 2018 il governo gialloverde di Conte non solo chiuse Italia Sicura, l'Unità di missione sul dissesto idrogeologico voluta dal mio governo, ma varò un condono per Ischia. Glielo dissi in faccia, in aula: di abusivismo si muore. Ora nega di averlo fatto: ma è tutto lì, nero su bianco. Conte si deve vergognare».

Viene facile fare il paragone tra il Partito democratico italiano e il Partito socialista francese. Quest'ultimo è moribondo, schiacciato tra Mélenchon, a sinistra, e Reinassance di Macron, a destra. Lei e Calenda sareste Macron. È uno scenario credibile la fine del Pd?
«Il nostro orizzonte sono le elezioni europee del 2024: puntiamo ad andare ben oltre la doppia cifra e a parlare sia ai liberali che non vogliono morire sovranisti, in compagnia di Orban e Le Pen, sia ai riformisti che non vogliono morire populisti. Il nostro modello è quello di Renew Europe. Quanto al Pd, è in una crisi da cui difficilmente si riprenderà: può ringraziare le scelte masochiste di Letta e dei suoi capi corrente».

Ma in Italia le elezioni si vincono alleandosi con gli altri e il Pd, ad oggi, appare l'unico vostro possibile alleato. Molto dipenderà dal nuovo segretario. Chi si augura che vinca?
«Il Pd non è l'unico nostro possibile alleato. Alle regionali abbiamo scelto di sostenere i candidati più capaci: nel Lazio Alessio D'Amato, in Lombardia Letizia Moratti. Alle Europee correremo da soli: puntiamo a diventare il primo partito. Quando Letta è stato richiamato da Parigi, il Pd era in crisi nera e Dario Franceschini ebbe l'idea di cercare qualcuno che mettesse d'accordo tutti: non su una proposta politica condivisa, ma contro Renzi. Per cui non faccio previsioni: non solo perché rischio di fare il kingmaker al contrario, ma perché non mi interessa».

Nei prossimi giorni il Pd e il movimento Cinque Stelle protesteranno in piazza contro la manovra. Lei che farà?
«Io non credo nella protesta, ma nella proposta. Il Pd e i Cinque Stelle andranno in piazza a difendere il reddito di cittadinanza, mentre noi del terzo polo abbiamo presentato una contromanovra che difende il lavoro e i conti pubblici. Carlo Calenda, con una delegazione di Azione e Italia Viva, la illustrerà a Giorgia Meloni: nessun inciucio, ma noi siamo all'opposizione del governo e non del Paese. Proviamo a dare una mano, mi sembra che la presidente ne abbia bisogno. Al governo manca una visione di Paese: si pensa a reintegrare i medici no vax e, dopo aver appena superato una pandemia, non si stanzia abbastanza per la sanità. Noi, al contrario, chiediamo di prendere subito i 37 miliardi del Mes, immediatamente disponibili. E poi c'è il tema del costo della vita e del lavoro: vanno messi subito soldi nelle tasche degli italiani. Gli 80 euro del mio Governo andavano in questa direzione: i 10 euro in più previsti da Giorgia Meloni in busta paga sono davvero poca roba».

Finirete per votare alcune norme della manovra, come quelle per l'abolizione del reddito di cittadinanza?
«La nostra non è un'opposizione ideologica: se il governo decidesse davvero di mettere in campo un intervento serio sul reddito di cittadinanza, lo valuteremmo. Fin troppi soldi dei contribuenti sono finiti nelle tasche di truffatori e furbetti, per costruire il consenso di Giuseppe Conte. Spero però che si passi presto ai fatti, perché noto come la Meloni di lotta sia ben diversa dalla Meloni di governo...».

Dopo la manovra si aprirà una nuova fase. A gennaio la maggioranza aprirà il cantiere della riscrittura della seconda parte della Costituzione, con inclusa l'introduzione del presidenzialismo. Che ruolo giocherete in questa partita?
«Da presidente del consiglio persi la poltrona sulla scommessa del referendum costituzionale. Oggi, come nel 2016, ritengo che una riforma del genere serva al Paese, non a Matteo Renzi, per cui sono pronto a discuterne, anche se non credo che la soluzione sia il presidenzialismo: penso più all'elezione diretta del premier. All'Italia serve stabilità: il giorno dopo le elezioni bisogna avere la certezza di sapere chi ha vinto, e poi occorre garantire governabilità. Allo stesso tempo, la disastrosa gestione della pandemia ci ha dimostrato quanto quello che dicevamo sul Titolo V della Costituzione fosse vero: va riscritto, mettendo ordine alle competenze Stato-Regioni».

Tramite un'interrogazione, lei chiede a Carlo Nordio di intervenire sul magistrato Luca Turco, titolare dell'inchiesta sulla fondazione Open. Turco avrebbe ignorato la sentenza con cui la Cassazione gli imponeva di distruggere il materiale sequestrato al suo amico Marco Carrai. Cosa s'aspetta da Nordio?
«Io, di quei pm, non mi fido. L'ho messo nero su bianco nel mio libro. Antonino Nastasi è lo stesso che ha condotto le scandalose indagini sul caso David Rossi. Giuseppe Creazzo, ora a Reggio Calabria, è stato sanzionato dal Csm per molestie sessuali. E poi c'è Luca Turco, che, come ha ricordato lei, non rispetta le sentenze della Cassazione: i supremi giudici gli avevano imposto di distruggere il materiale oggetto di un sequestro illegittimo e lui invece ha deciso di passare tutta la documentazione al Copasir. Quindi giovedì, in aula, chiederò al ministro Nordio come intende intervenire di fronte a un pm che si fa beffe delle sentenze».

Tutti i manuali sconsigliano di litigare con i magistrati, come lei ha fatto venerdì con Turco durante l'udienza preliminare del processo Open.
«Venerdì il dottor Turco mi ha contestato di aver rilasciato un'intervista. Quando un pm, quello che ha arrestato i miei genitori e indagato me, mia sorella, mio cognato e i miei amici, vuol stabilire anche se io abbia diritto o meno a parlare con la stampa, significa che ha qualche problema non solo con il rispetto delle sentenze, ma anche con il rispetto delle garanzie costituzionali. Se pensano di farmi paura, però, si sbagliano: io continuerò a denunciare in ogni sede ciò che sta accadendo. Lo faccio anche per tutte quelle vittime di ingiustizia che non hanno la mia stessa visibilità mediatica».

Ecco, a proposito di queste vittime: cosa si aspetta dal governo sul fronte della giustizia? E voi cosa siete disposti a fare insieme a Nordio?
«Penso che Giorgia Meloni abbia scelto un ottimo ministro della giustizia, il migliore. Mi auguro che ora si faccia sul serio. Occorre scardinare il potere delle correnti, spezzare il "sistema" descritto da Alessandro Sallusti e Luca Palamara: devono far carriera i bravi magistrati, che sono la maggioranza, non chi è iscritto a Magistratura Democratica. E poi bisogna riaffermare un principio: chi sbaglia, paga. Vale per i giornalisti, per i politici, per i medici: non capisco perché non debba valere per i magistrati».

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