Bonelli e Fratoianni, perché sono i "somari" di Soumahoro
I somari di Soumahoro, Sinistra Italiana di Fratoianni e i Verdi di Bonelli razzisti all'incontrario. Si innamorano del sindacalista di origine ivoriana per il colore della pelle, in tinta con quello degli immigrati sfruttati che il suddetto sostiene di rappresentare, e gli regalano un seggio in Parlamento, che non è investimento da poco, visto che la strampalata alleanza rosso-ambientalista ne ha totalizzati solo sedici. Degli scandali legati al deputato entrato in Aula con la pagliacciata degli stivali sporchi del fango che non ha mai calpestato si è perso il conto. Prova a trarne le fila, nella pagina a fianco, il collega Tommaso Montesano.
Il succo delle accuse finora raccolte è che la cooperativa dei famigliari di Soumahoro, che gestiva l'accoglienza e dava lavoro agli immigrati, non solo trattava i suoi ospiti-dipendenti male, pagandoli anche peggio, se li pagava, ma riusciva, tenendosi i soldi pubblici per sé, a garantire a chi la gestiva una vita agiata e invidiabile. L'onorevole sostiene di non c'entrare nulla, ma ormai in tanti tra coloro che hanno avuto a che fare con lui testimoniano l'opposto.
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Ne è che il gattino cieco Fratoianni e la volpe al salmì Bonelli sono costretti dall'opinione pubblica, e dai loro perplessi elettori, a convocare il loro deputato con le calzature inzaccherate per chiedere conto delle maldicenze sudi lui che il tapino non riesce ad arginare. Tutti si aspettano una sospensione, se non proprio la cacciata dal partito, ma la sinistra è da sempre giustizialista con Berlusconi, Salvini e le destre ma super garantista con se stessa. Ne consegue che dopo due ore di confronto non si è venuti a capo di nulla e perciò al momento Soumahoro resta con uno stivale e mezzo dentro. Oggi si riparte con la seduta di autocoscienza. E così i Sinistra e Verdi si mostrano non solo superficiali nella scelta di chi imbarcare sul carrozzone, ma anche diabolici nel difenderla, o quantomeno non rinnegarla con decisione. Eppure dalle loro parti si vociferava da tempo che il candidato era vulnerabile, chiacchierato, un brutto affare.
Il direttore della Caritas pugliese di San Severo, don Andrea Pupilla, ben prima della composizione delle liste elettorali aveva avvertito i dirigenti rosso-ambientalisti dicendosi «a disposizione per ogni informazione» riguardo a quel nero che «si erge a paladino dei diritti degli invisibili ma strumentalizza le loro storie e le loro condizioni» a proprio vantaggio. «Rischiate di fare un clamoroso autogol, la sua attività pro immigrati è solo virtuale e tesa ad accendere fuochi» avvertiva, con appello firmato a Fratoianni, la cassandra in tonaca, che ora alza il dito, ricordando di quando Aboubakar venne dalle sue parti vestito da Babbo Natale e raccolse sedicimila euro per i bambini della comunità di raccoglitori di pomodori, che non vennero però distribuiti, visto che bambini a cui fare doni non ce n'erano. Forse anche quel denaro sarà finito nel ristorante in Ruanda aperto dal genero di Soumahoro, tale Mutangana, figlio della suocera dell'onorevole, la titolare della Karibu, la cooperativa accusata di sfruttare gli immigrati e finanziata dallo Stato italiano, usa bonificare quattrini in Africa. Una storia sulla quale, come scoperto dal quotidiano il Domani, i magistrati italiani hanno messo gli occhi dal 2018, per capire se i milioni di fondi pubblici elargiti all'organizzazione umanitaria siano stati utilizzati secondo le regole.
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Resta il mistero di come sia possibile, con tanti compagni comunisti e ambientalisti in fila per essere candidati, che Fratoianni e Bonelli abbiano steso il tappeto rosso proprio a un individuo che camminava in equilibrio su un filo teso sopra una serie di potenziali scandali pronti a esplodere. Certo, Aboubakar è nero, ha il physique du ròle, la faccia tosta e una parlantina straordinaria, anche se quest' ultima si è un po' inceppata quando sono iniziate a emergere notizie sul suo clan. Ha anche una moglie quasi da copertina, da rotocalco e non solo da giudiziaria, il che non guasta neppure a sinistra. Però c'era molto fumo intorno a lui perché chi lo candidasse non fosse colto dalla curiosità di verificare se non ci fosse anche l'arrosto.
Ora i somari faticano a sacrificare il Soumahoro. Non stupisce. La sinistra vive di ideologia e conseguentemente decide in base al pregiudizio. Se uno si alza e recita le giuste litanie, ripete gli slogan più ritriti e si accoda al coro del conformismo progressista, passa subito per genio, martire, paladino dei diritti senza doversi sottoporre a nessun esame se non quello di retorica moral-progressista, un test orale che non prevede prove pratiche né comportamenti conseguenziali. L'importante è fingere di pensare con la loro testa, anche se poi si continua a fare i fatti propri. Se uno invece è di destra, o anche solo di centro, o anche solo ambisce ad avere opinioni proprie, tra i rossoverdi scatta il sospetto, il pregiudizio e l'istinto moralistico-inquisitorio di fare l'esame del dna su tutto, risalendo indietro nei decenni, fino agli ascendenti di terzo grado.
Questo vale perfino se dal nulla diventi premier, e ti puoi trovare un giovane giornalista che in conferenza stampa, solo per il fatto di essere di sinistra, si sente in diritto di poterti chiedere se hai imparato qualcosa dallo scontro con la Francia sugli immigrati perché lui, dal suo desketto e dall'alto della sua esperienza, si sarebbe comportato diversamente. Si attendono conferenze stampa di Fratoianni e Bonelli su cosa hanno imparato sullo sfruttamento degli immigrati dallo scontro che hanno avuto con la realtà a seguito della vicenda Suomahoro. E si attendono giornalisti di parte indignati che puntino il dito contro di loro, ma soprattutto contro se stessi, perché l'Abuobakar paladino degli ultimi è l'ennesima bolla mediatica che scoppia nel fronte progressista, dove costantemente ci si innamora di Papi stranieri e si finisce con il dover constatare di aver preso un granchio.