Roberto Castelli, la confessione: "Così Maroni mi salvò dall'ira di Bossi"
La Lega piange Roberto Maroni. A ridosso della sua prematura scomparsa, è uno dei "tre Roberti" big del Carroccio a ricordarlo. "Sicuramente tra noi tre quello che aveva più carisma, più capacità politica e anche più udienza nei media era lui", ammette Roberto Castelli tornando indietro nel tempo. Quei tempi in cui nessuno avrebbe immaginato dove sarebbe volato il partito di Umberto Bossi. Nemmeno Maroni, che mai avrebbe immaginato "che avremmo raggiunto cariche come quelle che abbiamo poi ricoperto. Solo Bossi ci credeva. Ci diceva: preparatevi, dovremmo gestire milioni di voti! Lo guardavamo come un matto. Neanche Bobo ci credeva".
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E proprio Bobo in quella Lega era il numero 2, il fedelissimo di Bossi. Non a caso dopo soli due anni il fondatore del Carroccio lo mandò a fare il ministro dell'Interno, il primo ministro non Dc al Viminale. Tra i tanti pregi di Maroni, anche la sua innata capacità di dialogo: "È sempre stato capace di coltivare rapporti, anche a sinistra - prosegue Castelli sulle colonne del Giornale -. Era sicuramente il più governativo di noi. Il ruolo di segretario federale non faceva per lui, non era un trascinatore di folle o un oratore che infiamma le platee. Il meglio lo ha dato nei ruoli istituzionali. Nonostante fosse leghista, e quindi bollato da un marchio di infamia, Maroni è riuscito a ricoprire cariche importanti senza mai subire critiche pesanti".
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Proprio questa dote lo "salvò" dalle ire di Bossi: "Qualcuno aveva detto al capo che io volevo fondare una mia Lega, solo perché alcune sezioni avevano affisso dei manifesti a mio sostegno. Bossi mi chiamò di notte: ti sbatto fuori. Gli spiegai che non era vero, però mantenne dei dubbi. Venni poi a sapere che era stato Maroni a convincerlo della mia buona fede".